INTERVISTA DI LAURA DE LUCA X LINDRO
in occasione di PIER PAOLO POETA DELLE CENERI
con COSIMO CINIERI, GIANNI DE FEO
regia: IRMA IMMACOLATA PALAZZO
da un'idea di GIANNI BORGNA
25 aprile 2012 Auditorium Parco della Musica di Roma, Sala Sinopoli
Per Irma:
-D: quale la chiave di q
spettacolo?
R: L’emozione. Carlo Fuortes
ci ospita nella Sala Sinopoli (1.200 posti) e bisogna tener conto di questo.
Almeno a me piace considerare questa sua proposta una sfida estetica. Parlare a
100 persone è diverso che parlare a 1.000 o a 2.700, così come abbiamo fatto,
per esempio, con Pierino e il lupo,
due mesi fa. Il linguaggio deve diventare semplice, ti devi sforzare ancora di
più di arrivare al cuore delle cose. Trovare denominatori comuni in cui tutti
possano immediatamente riconoscersi, se non per erudizione, almeno per umanità.
Una posizione ben diversa da quella di Pasolini quando decise di dedicarsi al teatro.
Erano gli anni in cui la sua vita era indirizzata soprattutto al cinema. Una
sera, mentre cenava con Moravia, ebbe un attacco d’ulcera. Sputò sangue… Ricoverato
in ospedale, fu costretto all’immobilità. In breve, scrisse sei tragedie, poi
elaborate negli anni. Teatro in versi. Nonostante con il cinema avesse
raggiunto il successo delle grandi platee, col teatro preferì scrivere per
pochi ‘eletti’. Al suo solito, una provocazione. Quindi, come dicevo
all’inizio, la chiave su cui puntiamo è l’emozione. Per arrivare al cuore di
molti. Lo si spera. In questi mesi, chiusa a casa come un monaco, ho divorato
la sua opera, migliaia di pagine, ossessivamente, per consentirmi di
metabolizzarla e rielaborarla… Di perdermi in essa. Di attraversare un cerchio
di fuoco e uscirne con un dono, nuovo… Ogni segno teatrale ora è un grumo di
sangue che in sintesi contiene tantissimi suoi riferimenti. Un esempio per
tutti: in scena c’è un bravissimo attore-cantante: Gianni De Feo che
interpreterà alcune delle canzoni di Pasolini. Tra queste: Che cosa sono le nuvole? Ebbene, non so per quale motivo inconscio,
ho subito immaginato che Gianni, il quale ha una vaga somiglianza con Ninetto
Davoli –stessi ricci-, la cantasse nudo, tranne due enormi ali di velluto nero.
Giorni dopo questa immagine, scopro che Pino Pelosi, l’assassino del poeta, ha scritto
il suo primo libro dal titolo: Io, Angelo
Nero… Che coincidenza, vero? Ecco, è questo il modo in cui sto procedendo:
lascio che il materiale mi abiti, mi attraversi, in attesa che appaiono da sole
delle immagini, dei segni che andranno a creare poi la struttura narrativa.
Quali sono questi segni? Il palcoscenico è una scatola nera. Sul fondo, un
praticabile: l’altare/teatrino delle Rose: un ‘carmina figurata’, sorta di
casotto-camerino d’attore con specchio e servomuto portante gli abiti di scena
del cantante; in proscenio un altro praticabile: l’altare/teatrino delle belle
bandiere, un reperto dei palchi dei comizi anni ‘40: stracci (ridipinti) che
ricordano la rossa bandiera del PCI con falce e martello, la bandiera dei
partigiani e quella bianca contro Putin; elementi scenografici del
pittore-scultore Giancarlino Benedetti
Corcos.
A mezz’aria si accenderà a tempo
una luminaria di lampadine colorate da balera. Ancora sul fondo, in basso, il
campo di lucciole per il finale.
Al centro del palcoscenico, su
pedane rialzate, si sistemerà una band/orchestrina
di 7 solisti che sa suonare Bach, Mozart
e canzoni da jukebox, rifacimenti delle musiche dei suoi film, orchestrati
dal M° Domenico Virgili. In
proscenio, una lingua di sabbia (Ostia).
Diverse postazioni foniche,
sistemate negli altari/teatrini per la voce di Cosimo Cinieri.
Sullo schermo nero, ad opera di Max Ciogli, viene ‘visualizzato’ il
Calendario con 12 foto di PPP, ormai diventato – malgré lui- icona pop della società dei consumi.
Ci sono morti che ci appartengono
più delle altre, perché ci lasciano rabbiosamente orfani. E’ il caso di PPP. Lo
spettacolo parte da questo VUOTO e rigurgita, in un magma sfilacciato di versi
rossi rossi rossi, sbocchi ematici suddivisi in 10 capitoli+UN PROLOGO e un
EPILOGO, legati ai suoi TEMI. Un affresco. Il testo, in collaborazione con Gianni Borgna, che da due anni ci
invita a creare insieme uno spettacolo sul suo amato Pasolini, è innestato su Pier Paolo, poeta delle ceneri e Coccodrillo, usati come griglia
autobiografica. Del corpus pasoliniano, della sua imponente e torrenziale
logorrea poetica, vitale piano-sequenza interrotto dalla morte violenta,
sopravvivono in collage resti, brandelli d’un furente e amorevole pasto
dionisiaco, frammenti ridotti a volte a capitoletti buoni per FB (su cui è
molto citato) o a slogan per Twitter, veicoli dell’immaginario collettivo di
oggi. Uno spettacolo aperto, tanto abile da ‘fingere’ una sorta di mood tra happening e performance,
e che abbia l’aria del non finito, di una cosa in fieri, in divenire, così come lui, forse, avrebbe voluto che
fosse letta la sua opera.
D:-Come
avete declinato il concetto di "diversità"?
R: Uno dei capitoli dello
spettacolo, il settimo credo, è dedicato all’amore. Comincia Gianni, cantando: Tango de li sette veli, streaptease
ironico. Finisce Cosimo recitando Uno dei
tanti epiloghi, poesia dedicata al suo grande amore Ninetto Davoli, sulle
note di Amado mio che, tra l’altro,
fu uno dei primi romanzi di Pasolini, dove parlava appunto della sua
iniziazione omosessuale. Per Pasolini, l’omosessualità rappresentava il veicolo
di un’esperienza conoscitiva: la conoscenza di un’altra classe sociale,
letteralmente un altro mondo. Credo però che nel suo caso, il concetto di
diversità sia molto più allargato. Pasolini era un ‘diverso’ a 360°, poiché,
essendo uno sperimentatore, ha attraversato trasversalmente ogni aspetto della
vita, sia artistica che privata. Non si è mai nascosto. Aveva coraggio in ogni
cosa, lui. Politicamente era un eretico. Ed era un diverso anche come poeta,
giornalista, cineasta. E in teatro? Egli stesso lo definiva il “teatro
della diversità”. Le sue tragedie sono una consapevole riflessione sul diverso
e sulla diversità che incrina l’ordine borghese. Di ORGIA, di cui noi inseriamo
un brano, PPP dice: “Con questo marito e
questa moglie ho voluto dire del rapporto di chi è diverso (per qualche
ragione) con la storia (…) i diversi generalmente sono reclusi nei ghetti,
vengono esclusi dalla società, quindi, in qualche modo, vengono esclusi dal
fare storia. (…) ORGIA è il dramma della disperata lotta di chi è diverso
contro la normalità che respinge ai margini, che rinchiude nel ghetto, è il
rapporto tra DIVERSITA’ e STORIA”.
D:-La vitalità di PPP
oggi. Quali sarebbero stati a tuo parere i suoi bersagli preferiti?
Il potere, sicuramente.
Più arrogante che mai, greve, spudorato, corrotto al di là di ogni
immaginazione. L’opposizione, inesistente, lasciata nelle mani di un comico (e
meno male che c’è!). E i giovani, acquiescenti, completamente manipolati dai gadgets tecnologici, anestetizzati.
Prostituiti per uno stipendio di fame, da consumare in voli low cost e nei tristi gironi infernali
dei centri commerciali, i templi di oggi, come li chiama il mio amico Aldo Di
Russo. E io chiedo a questi giovani: non avete lavoro, non avete futuro, com’è
che non scendete per strada a battervi ad oltranza? Venite a vedere da uno che
non s’è risparmiato, ad imparare come ci si gioca la vita in prima persona.
Appassionatamente.
D:-Eppure, PPP non
assomiglia ai nostri tempi, forse non sarebbe a suo agio nell'oggi. C'è qualcosa
di PPP fortemente inattuale. Se sei d'accordo, cosa?
Che bella parola ‘inattuale’…
Che senso ha parlare di attualità di un poeta? Pasolini stesso si definì
inattuale, perché riconosceva al poeta la capacità di avere uno sguardo
profetico sulle cose, e quindi di esser proiettato in avanti, e al tempo stesso
di essere ‘antico’, legato ai valori di un tempo primigenio, valori da
salvaguardare perché fondanti la nostra umanità. Credo sia proprio
l’inattualità la principale caratteristica dell’artista in genere, questo suo
essere fuori dal tempo meschino dell’oggi, del quotidiano, miope metronomo che misura
ogni cosa parzialmente, e dove tace ogni anelito di assoluto per ansia di
sopravvivenza. Mario Luzi scrisse un saggio magnifico su questo concetto. Vi si
dice che l’arte è irriducibile al relativo e che non può mai essere uno
strumento di divulgazione delle cose dell’oggi. L’arte, la poesia rifiutano il
mondo così com’è. Ecco cosa c’è dietro gli atteggiamenti dissacratori. Moderno?
Contemporaneo? Il presente gli sta stretto al poeta. Per Luzi la poesia è
inattuale, sempre, perché non è una cosa immediatamente utilizzabile, la sua
richiesta è integrale.
Per Cosimo:
D: -PPP era tanto
intellettualmente "acceso" da risultare a volte violento,
impietoso E poi sapeva anche essere tenero
Come hai risolto q
apparente contraddizione, sul piano dell'interpretazione?
La contraddizione è in
ogni uomo, spesso appiattito su una sola immagine di sé. Si recita la commedia
del buono o del cattivo o del vivace o del moralista o del trasgressivo, ecc.
ecc. senza scovare tutte le autentiche sfaccettature del nostro essere. Basta
evitare le tante ‘o’ e sostituirle con al congiunzione ‘e’. Credo che nella
nostra scatola cranica sia contenuto un universo differenziato, che non è
contraddittorio ma naturale. Inseguire, rintracciare, esponenziale parola per
parola, verso per verso, trasforma ogni pensiero in un caleidoscopio che non è
incongruente ma “vero” teatralmente. L’attore non può essere un ripetitore di parole,
egli è un oggetto misterioso che fa balzare in evidenza ora un nero, ora un
bianco, ora un rosso, ora un blu nel suono della voce, nell’atteggiamento del
corpo, nella complessa visione di sé, dando “verità” a ciò che propone: un
gioco da bambini, da 3 a 5 anni, quando si ha il piacere di giocare
l’impossibile con una determinazione assoluta. Tutto è possibile, il resto è
noia se si tenta di interpretare personaggi senza viverli, senza offrire se
stessi a quella creazione così effimera, per una serata, per un momento nel
presente, minuto per minuto o, addirittura, secondo per secondo. Come la vita.
D: -Altre
contraddizioni di q difficile ruolo?
R:
Detesto le parole ruolo, personaggio, interpretazione. Le sostituirei con
ricerca vocale, musicale, corporale, sollecitata dalle sensazioni che genera la
pagina scritta. Non eseguire un compito pedissequo di rappresentazione, ma
scoprire un universo di sentimenti, stati d’animo, tonalità, gesti,
dimenticanze e sorprese: lasciarsi andare per trovare, al di là della pagina
scritta, un “facciamo finta che” senza mentire. Un gioco buffo che non dà
tregua, ma fa scoprire parti di sé impantanate in una gelatinosa coscienza,
obsoleta e castrante. Quando ho incontrato Macbeth,
a tratti ne facevo un bambino spaurito, un assassino incallito, un delicato
amante, un visionario senza freni, travolto da una caterva di stimoli emotivi e
mai rassegnato alla sua fine teatrale. Invocava un “sipario” per non morire.
(Si deve replicare domani).