martedì 4 settembre 2012

teatro ghione 21 settembre 2012

UN LIBRO NEL CASSETTO

4°premio letterario di narrativa

LA CARTELLA ROSSA

di
IRMA IMMACOLATA PALAZZO

PRIMO PREMIO

pubblicazione a cura dell'editore
GIORGIO CORALLI




domenica 2 settembre 2012

COSENZA, 8 SETTEMBRE 2012
OFF RENDANO

COSIMO CINIERI

PIER PAOLO POETA DELLE CENERI


da un'idea di 
GIANNI BORGNA

con
DOMENICO VIRGILI pianoforte

drammaturgia 
IRMA IMMACOLATA PALAZZO e GIANNI BORGNA

regia
IRMA IMMACOLATA PALAZZO














mercoledì 8 agosto 2012






12 agosto PUGLIA


COSIMO CINIERI

in
VERSI DIVINI
vino voce canto e fisarmonica

MARCELLO FIORINI fisarmonica
CAROLINA GENTILE canto

drammaturgia e regia
IRMA IMMACOLATA PALAZZO

 (Lirici Greci, Marziale, W.Shakespeare, Canto goliardico, A.Cechov, C.Baudelaire, M.Proust, W.B.Yeats, G.D’Annunzio, V.Cardarelli, F.Depero, J.L.Borges, P.Neruda, C.Pavese, J.Prevert, M.Soldati, J.Harris, Trilussa, G.Belli, A.Mastrogiacomo, E.De Filippo, Li Po, Sou Che, V.Metz, A.Merini.)




     “Nella cella del vino mi introdusse”, così celebra il Cantico dei Cantici.
Non c’è alimento più antico, tranne il miele.
Nella tradizione biblica il nettare prelibato è legato alla gioia. Per tutti i popoli, il vino è il tramite per comunicare con il divino nei riti iniziatici. Noè, il solo uomo giusto agli occhi di Dio e degno di essere salvato dal diluvio, sceso dall’arca, per prima cosa ringrazia il Signore, poi pianta una vite da cui ottiene del vino con cui si ubriaca. Per gli Ebrei il vino simboleggia l’aspetto piacevole dell’esistenza, l’amicizia, l’amore, l’esultanza, e viene utilizzato anche per designare la gioia celeste. La coppa di vino utilizzata nel rito pasquale rappresenta la nuova alleanza tra l’uomo e Dio.
Nonostante tutte le religioni gli abbiano attribuito un valore sacro, il vino, così intimamente legato ai culti pagani, è stato in alcuni casi proibito. Per Israele, essendo portatore di ebbrezza, il vino è anche il simbolo dello smarrimento che Dio manda agli uomini e alle nazioni infedeli e ribelli, per punirli. Talvolta rappresenta la collera di Dio. Era proibito anche agli dei infernali, perchè gioiosa bevanda dei vivi; e così a Mnemosine e alle Muse perchè turba la memoria. Per i cristiani non abbiamo un esplicito divieto, anzi, svolge un’importanza decisiva nel rito dell’Eucaristia. Il vino è  il Sangue del Cristo. Ma è vietato eccedere, la strada da seguire per l’accesso al regno dei cieli è la moderazione.
Ma proprio in virtù dell’ebbrezza che provoca, in alcune tradizioni semitiche –ma non solo- il vino è anche simbolo di conoscenza. E nel sufismo rappresenta altresì l’amore e il desiderio ardente.
Per i mistici musulmani è la “bevanda dell’amore divino”.
Nell’antica Grecia sostituiva il sangue di Dioniso ed era considerato la bevanda dell’immortalità. Lo stesso ruolo aveva nel taoismo in complicati rituali. In Cina il vino di riso, mescolato al sangue durante il giuramento e assunto come bevanda dalla comunità, permette di raggiungere “l’età di novantanove anni”. E quindi era per colore e carattere, bevanda di vita e di immortalità. Presso le sette sciite dell’Anatolia, il raki, bevanda alcolica sacra, è chiamato latte di leone, e il leone, per gli Sciti, è un epifania del Dio.

Nelle diverse culture e civiltà, il VINO, come abbiamo visto in questa sintetica carellata, non solo è stato considerato una bevanda ma ha acquistato un forte valore simbolico. Diffuso in ogni angolo del mondo, può diventare strumento utile ed efficace per approfondire il rapporto tra le culture locali e la globalizzazione, favorendo un dialogo interculturale.

VERSI DIVINI è una sarabanda di suoni, tra voce e musica, come una leggera alterazione della coscienza, al seguito della “bellezza” dei versi dei poeti. L’allegria e lo struggimento della fisarmonica s’insinuano tra chi ascolta, trasportando le parole e suscitando sensazioni che al tempo stesso divertono e commuovono e un pò… ubriacano. Come il vino. Come la vita.


giovedì 12 luglio 2012






23 luglio 2012 ore 21
GIARDINI DELLA FILARMONICA, ROMA


“IL POETA E’ UN FINGITORE”
FERNANDO PESSOA in RAPSODIA

per la voce di COSIMO CINIERI

MARCELLO FIORINI   fisarmoniche  SALVATORE ZAMBATARO
musiche originali ed elaborazioni di MARCELLO FIORINI

elaborazione drammaturgica e regia
IRMA IMMACOLATA PALAZZO



Ci sono folli che parlano ad alta voce, ed altri folli, come Pessoa stesso confida in alcune sue pagine, ‘che sognano ad alta voce’. Schiera a cui forse egli apparteneva. La sua visione interna è quella di un mondo straripante di figure, un olimpo di personaggi, dove uno non è la variante dell’altro, ma assolutamente autonomo, dotato di personalità e linguaggio proprio. Pessoa in portoghese vuol dire ‘persona’, eppure, nessuno più di lui ha operato così profondamente il fenomeno della ‘spersonalizzazione’, un annichilimento esistenziale che rende la sua opera inafferrabile. Le tante figure  distinte, proiezioni di un’anima multiforme, altro non sono che lucide allucinazioni di un solo autore-attore che, di volta in volta, indossa maschere diverse. Pessoa ci racconta che alcuni di questi scrittori si sono conosciuti tra di loro, ma che nessuno ha mai conosciuto lui. Un mistero, dettato dalla necessità di essere egli stesso una letteratura… ‘Plurale come l’universo’.

“Non so quante anime ho”, scrive Pessoa. Multiplo anche nell’anima. Percepiva ogni mutamento, ne era consapevole ed operava un provvidenziale distacco. Uno straniamento che gli consentiva di leggere la vita come se fosse un paesaggio, annotando a margine ciò a cui assisteva, non sicuro di essere neanche colui che scriveva.
Ma Pessoa era questo e il contrario di questo. Non sempre l’atarassia abitava la sua anima. Ci sono pagine struggenti in cui ‘le buone cose della vita’ gli facevano male in modo metafisico, anche se si trattava solamente di lasciare la povera stanza d’affitto dove aveva vissuto per alcuni mesi, o del tavolo dell’albergo di provincia dove era stato appena sei giorni: ogni cosa che abbandonava gli procurava un’intensa commozione. Anche lui, come noi, da qualche parte e nei panni di chissà quale eteronimo,  evocando certi ricordi, si sentiva esiliato, ‘solo nella notte di se stesso’, al cospetto delle porte sbarrate.
Altre volte percepiva la sua anima come “una vasta vertigine intorno al vuoto, un movimento di un oceano senza confini intorno ad un buco nel nulla, e nelle acque, che più acque sono turbini, galleggiano le immagini di ciò che ha visto nel mondo…” .
La tavolozza della sua anima è talmente variegata e complessa che non ci sorprende constatare che nel suo universo rarefatto tutto ha diritto d’asilo, anche la coscienza di non sapere chi sia, che anima possieda.

 “La poesia è dappertutto – nella terra e nel mare, nelle città”, perfino “in una cosa ridicola come una chiave, i baffi di un gatto”. Le immagini poetiche sfilano davanti a lui in cortei di sete sfumate, oppure si librano in vaneggiamenti, prima che diventino PAROLE, con la loro concreta pesantezza. E, come Orazio, un poeta che egli amò e a cui si ispirò Ricardo Reis, uno dei suoi eteronimi, Pessoa ci dice che la POESIA è il veicolo con cui abbiamo la possibilità di metterci in comunicazione con la parte divina che è in noi.

Pessoa si considerava un mistico con il corpo, la sua anima era semplice perché non pensava. Vivere e non pensare: è un imperativo che torna di continuo nella sua poetica. Questa la sua metafisica. Oppure, rispettare il Mistero, se c’è. E se non ci fosse alcun Mistero?
“Tutto è mistero e il mistero è tutto”, non ricorda lo scioglilingua delle streghe del Macbeth?: “Il bello è brutto e il brutto è bello…”, anche lì c’era un mistero da sciogliere…
“Più dell’esistenza/è un mistero l’esistere, l’essere, l’esserci/un essere, un’esistenza, un esistere – uno qualsiasi…”.
Eppure, il panteismo di cui si nutrono molti suoi versi ci conciliano con un mondo tutto da vivere e da adorare, in cui ci sentiamo immersi, perché creati con la stessa materia delle stelle, del vento e dei fiori e di Dio stesso. Possiamo imparare dai ciarlatani e dai banditi, e ascoltare filosofie che gli stolti possono insegnarci. ‘Tutto è in ogni cosa’  e “Essere uomo è sapere che non si capisce”.

La vita, per Pessoa, è un semplice quadro che include il poeta che assiste come a uno spettacolo privo di intreccio e insensato, creato soltanto per la gioia degli occhi. Si dorme, pur essendo svegli. La vita, di fatto, è una grande insonnia.
 ‘Dormiamo la vita, eterni bambini del Destino’: Pessoa prova una tenerezza immensa per l’umanità infantile che vive ‘dormendo’ e quindi inconsapevole.
Ricardo Reis, passando per Epicuro e Orazio, consiglia di ‘guardare di lontano la vita, senza mai interrogarla’. Tanto, essa nulla può dirci, in virtù del segreto che racchiude. I nostri compiti: seguire il nostro destino, annaffiare le nostre piante, amare le nostre rose: intorno c’è l’ombra di alberi estranei, e, in cuore, serenamente imitare l’Olimpo, poichè gli dei sono dei perché non si pensano.

Parafransando un suo verso celebre: ”…e manca sempre una cosa, un bicchiere, una brezza, una frase …”, manca sempre una pagina per poter afferrare del tutto Pessoa.
Benchè il materiale a disposizione -dei 27.500 documenti quasi tutti inediti, conservati in ‘un’arca’ per i posteri- sia più che sufficiente per illustrare la sua poetica, si avrebbe voglia di leggere e leggere ancora alla ricerca di un’altra pagina forse più illuminante. Paradossalmente, però, ci si accorge quasi subito che per intendere Pessoa può bastarne una sola.
E proprio perché egli stesso concepì un’opera aperta e incompiuta, si ha la libertà di spaziare e scegliere tra le innumerevoli parole ed eteronimi, senza il rischio che nella scelta, fatalmente arbitraria, venga distorto il senso profondo della sua poetica. Ogni concetto, quindi, può essere traslocato e assemblato con altri. In ogni scelta possibile, quindi, c’è tutto Pessoa e manca sempre qualcosa di Pessoa…

Tenendo conto che egli frequentò esoterismo e alchimia, per dare unità allo spettacolo e costruire una sorta di percorso narrativo, ho suddiviso brani di prosa e versi secondo la classificazione dei “sette corpi sottili”.
A mio avviso, il ‘grande buco nero’ di Pessoa è il corpo emotivo, il cuore. Attorno a ‘questo suo cuore freddo’, quindi, ho avvitato tutto il  materiale:

1. “semplicemente sento con l’immaginazione, non uso il sentimento”=corpo mentale
2. Faust: il mio può essere solo un tentativo di amare=corpo emotivo
3. Faust invoca la Morte, sua unica amante possibile=corpo fisico.

Questa è una delle innumerevoli possibilità di raccontare e rivivere il poeta…



IRMA IMMACOLATA PALAZZO


“IL POETA E’ UN FINGITORE” ha debuttato il 16 marzo 2009 al Teatro Studio dell’Auditorium-Parco della Musica, Roma nell’ambito della rassegna Le lingue della Poesia: classici per l’Europa – a cura di Valerio Magrelli, riscuotendo uno straordinario successo. Il 20 maggio 2009 è stato trasmesso in diretta dalla Sala A di Via Asiago - RAI Radio 3 – nel programma Il consiglio teatrale.




venerdì 6 luglio 2012

6 LUGLIO 2012 H 21

BORGO SOLOMEO (PG)



COSIMO CINIERI

PIERINO E IL LUPO

e

ROMA SINFONIETTA

diretta dal M° FABIO MAESTRI



testo teatrale in versi liberamente ispirato
dalla favola di S.S.Prokofiev
GIORGIO WEISS

regia

IRMA IMMACOLATA PALAZZO







venerdì 8 giugno 2012

TREVIGNANO ROMANO

8 GIUGNO 2012

COSIMO CINIERI 
in

CANZONIERE ITALIANO
POESIA IN CONCERTO

da Francesco d'Assisi a Pasolini

regia
CINIERI&PALAZZO

domenica 13 maggio 2012

NARRATORE
Non si può voler aggiungere a ciò che
si ha quello che si aveva...
Non si può essere, ad un tempo,
ciò che si è e ciò che si era...
Bisogna saper scegliere;
non si ha il diritto di avere tutto... è proibito
Una felicità è tutta la felicità;
due è come non esistessero...
da: HISTOIRE DU SOLDAT di Strawinskij

diciamo che mi rispecchia completamente in questo momento :-))

NON MANCATE:
27 e 28 MAGGIO
AUDITORIUM CONCILIAZIONE


HISTOIRE DU SOLDAT

di IGOR STRAWINSKIJ

ORCHESTRA SINFONICA DI ROMA
diretta dal M°FRANCESCO LA VECCHIA
con COSIMO CINIERI e GIOA SPAZIANI
regia IRMA IMMACOLATA PALAZZO
e VINCENZO SAGGESE


giovedì 10 maggio 2012

25 APRILE 2012
AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA DI ROMA
SALA SINOPOLI

COSIMO CINIERI

PIER PAOLO POETA DELLE CENERI

regia 
IRMA IMMACOLATA PALAZZO

da un'idea di 
GIANNI BORGNA

drammaturgia
IRMAIMMACOLATA PALAZZO
e
GIANNI BORGNA













La voce poetica di Pier Paolo Pasolini è stata una delle più forti e più lucide nel denunciare i mali del mondo moderno e la violenza del potere, di ogni potere. Per questo è stata anche una delle voci meno assimilabili e accettabili. Tutta la sua opera e la sua vita sono state un corpo a corpo con la realtà e un duro atto d’accusa contro la società dei consumi e la borghesia, da lui considerata una “malattia”. Pasolini, però, non era in senso stretto un filosofo o un ideologo; era un artista particolarmente poliedrico (poeta, scrittore, critico, regista, drammaturgo, pittore) e di straordinaria sensibilità. Le sue analisi – anche le più oggettive e “corsare” – erano sempre frutto di questa sua capacità visionaria, che trascendeva e sublimava tutto quello che egli sperimentava vivendo. Noi vogliamo proporre proprio questo Pasolini. Il Pasolini che in versi a volte purissimi, a volte accesamente sperimentali, cerca di trarre in prima persona un bilancio della sua vita e di comporre un ritratto di sé di una sincerità sconvolgente. Sono tra l’altro i versi di Una disperata vitalità, il poemetto compreso nella raccolta Poesia in forma di rosa del 1964, di Who is me?, noto in Italia come Poeta delle ceneri, composto nell’estate del 1966 dopo un viaggio a New York come risposta alle domande postegli da una giornalista americana, in realtà un autoritratto dei più profondi e dei più crudeli, e di Coccodrillo (nel gergo giornalistico un necrologio scritto in anticipo per averlo pronto al momento del bisogno), che Pasolini scrive nel 1968 su sé stesso, senza riuscire mai a concluderlo, data la complessità e l’imprevedibilità della vita. 

Gianni Borgna

IL CONCERTO-SPETTACOLO
 “Non bisogna aver paura di avere un cuore”. PPP

E’ con molto amore che ho affrontato questo spettacolo. Madre profuga friulana, o meglio, slovena, [nata, cmq, a 50 km da Casarsa: mia rimozione totale (!) fino a ieri, prima di dedicarmi allo spettacolo], nonni austroungarici, famiglia massacrata equamente da nazisti e partigiani, padre meridionale da infinite generazioni, nata in Francia durante l’emigrazione dei miei, e poi sbattuta negli anni ’60 al Cep di Bari che, al confronto, le borgate pasoliniane mi sembrarono, una volta a Roma, dei villaggivaltur. Posso considerarmi, insomma, un prodotto tipico del sottoproleriato acculturato che PPP non amava, un pastiche antropologico.
Nichi Vendola, a ragione, sostiene che PPP è il poeta di una transizione, di un trauma. Ecco, io sono figlia di quella transizione, di quel trauma. Va da sé che lo spettacolo urgeva.
Sono a Roma dal ’75 e ho fatto in tempo a vedere Pasolini alla manifestazione per la Spagna libera in piazza di Spagna. Quella famosa con tutta la FGCI schierata in veste d’alfieri e pronti a prenderne il testimone. E si sa che il poeta molto si aspettava dai giovani Borgna, Veltroni, Adornato, ecc.
Me lo ricordo PPP, urlare e sbraitare come un pazzo profeta biblico, affinché ‘prendessimo coscienza’ e ci fermassimo. E, rileggendolo, ancora oggi, un senso di colpa: sono abbastanza in trincea? Siamo, chi più chi meno. Nella pseudoatarassia dilagante, in questo vuoto barocco –mi si perdoni l’ossimoro- lo scandalo terribile è che non ci scandalizza più nulla. A PALAZZO qualcuno scappa con la cassa, arrogandosi poi il diritto di tenersi la poltrona. E allora? Depredati ci chiediamo: ma la Chiesa l’ICI la paga o non la paga? Ni. E allora? Ma ‘sta montagna in Val di Susa è davvero piena d’amianto? Sondaggi TV proposti al pubblico: digitare sì o no. E allora? Immigrate dalla Cina 900 scimmie per la vivisezione. E allora? Le rosse bandiere nella grande, nobile, santa madre Russia si sono dissanguate per tentare l’ultimo assalto per la libertà, ma porcaloca ancora quanto poco sventolate, visto che dopo i brogli son buone per farne migliaia di mouchoires. E allora?
Ci sono morti che ci appartengono più delle altre, perché ci lasciano rabbiosamente orfani. E’ il caso di PPP. La sua voce ci manca, il suo coraggio, la sua rabbia, ci mancano le sue appassionate e profetiche analisi sociologiche, le sue violente polemiche che nessuno risparmiavano, neanche gli amici più cari, gli intellettuali in auge. Ci mancano i suoi ammonimenti. E il suo onnivoro e vitale ‘sperimentare’.
Furente Cristo, per spaventarci ben bene all’ultimo atto del martirio, PPP dà in pasto il proprio corpo. Ecce homo. E difatti ancora ci esorta -a chi vuol sentire- alla rabbia, non quella che sfila soltanto un giorno, no, quella che invece ogni giorno mette in gioco realmente la vita e agisce per sacrosanto pane certo oggi e per il desco di tutti i figli di domani. In India vige il monito che alla vita abbisogni un soldo per il pane e un soldo per la rosa, alias poesia. PPP, poeta, incita alla rivolta permanente (Camus docet) e invoglia alla pietas delle proprie insanabili contraddizioni. Per tutto questo e altro ancora, a tanti anni di distanza, ci è dato di ritrovarcelo accanto, vivo compagno di viaggio.
Quel VUOTO in cui ci lasciò è ancora intatto. Ebbene, questo Concerto-spettacolo parte da quel Vuoto. Rigurgito magmatico e sfilacciato, suddiviso in 10 capitoli che, dalla morte di PPP vanno à rebours, palesando alcuni dei suoi temi più emblematici, con un prologo profetico e un epilogo friulano in un campo di lucciole. Il testo è innestato su Pier Paolo, poeta delle ceneri e Coccodrillo, usati come griglia autobiografica. Del corpus pasoliniano, della sua imponente e torrenziale logorrea poetica, vitale piano-sequenza interrotto dalla morte violenta, sopravvivono in collage resti, brandelli d’un furente e amorevole pasto dionisiaco, frammenti ridotti a volte a capitoletti buoni per FB (su cui è molto citato) o a slogan per Twitter, veicoli dell’immaginario collettivo di oggi. Uno spettacolo aperto, tanto abile da ‘fingere’ una sorta di mood tra happening e performance (per PPP, la vita come espressione di sé), e che abbia l’aria del non finito, di una cosa in fieri, in divenire, così come lui avrebbe voluto che fosse letta la sua opera. Un affresco.
Cosimo Cinieri rivive con struggente e rabbiosa verità i versi pasoliniani, alla stregua di un antico-modernissimo rapsodo. Lo accompagna una band di virtuosi solisti, contagiati da sonate bachiane, ritmi di balera e canzonette da jukebox di periferia, che richiamano atmosfere di quel mondo contadino o emarginato tanto amato dal poeta: le musiche sono citazioni dei suoi film, orchestrate da Domenico Virgili (Violino tzigano, Fenesta ‘ca lucive, Il mio canto libero, l’Adagio di Albinoni, Chopin: il Valzer op.34N°2, il Blue distorto Dark was the night di Blind Willie Johnson, Sempre libera degg’io della Traviata, Amado mio, di Bach il Siciliano, il valzer di Salò: Danzi: Son tanto triste, ecc.).
Nelle maglie della narrazione si intrecciano alcune delle sue canzoni più belle (Che cosa sono le nuvole? I ragazzi giù nel campo, Chi è un Teddy Boy? Danza de li sette veli, Il valzer della toppa, Cristo al Mandrione), interpretate da Gianni De Feo con lirismo appassionato e scopertamente ambiguo, testimonianza  di una “diversità” da Pasolini stesso dichiarata, a volte vissuta come ferita esistenziale e che pagò con la propria vita.
Lavorando sulle frequenze musicali e vocali, verrà visualizzato sullo schermo il calendario di PPP. Una foto per ogni mese, giusto giusto per ogni capitolo del nostro testo. Ridotto a icona di massa, come una qualsiasi velina, come Che Guevara, stampato sulle t-shirt che i ragazzi di oggi portano allegramente senza sapere neanche chi sia. L’installazione è di Max Ciogli.
Giancarlino Benedetti Corcos è autore degli elementi scenografici: l’altare/teatrino delle belle bandiere (stracci ridisegnati e reinterpretati da lui), compresa la bandiera bianca contro Putin con la quale Cosimo si soffierà il naso e l’altare/teatrino delle rose, sorta di casotto-camerino d’attore con specchio e servomuto portante gli abiti di scena del cantante. Fabiana Di Marco, impianto scenico; Gian Maria Sposito, costumi; Giannantonio Marcon, video; Daniele Lanci, foto di scena.

a mia madre, quella parte di Friuli che è in me
Irma Immacolata Palazzo




TEATRO ELISEO
STAGIONE 12.13

giovedì 10 maggio 2012
ore 11,30 ingresso libero
Teatro Eliseo, via Nazionale 183

PRESENTAZIONE
STAGIONE 2012/2013
del Teatro Eliseo
e del Piccolo Eliseo Patroni Griffi

Saranno presenti i protagonisti
e gli artisti del nuovo cartellone

segue brindisi
offerto dalla Cantina Pieve Vecchia
di Campagnatico

anche in diretta Streaming su www.eliseo.tv

PROGETTO SCUOLA TEATRO ELISEO
un progetto di 
IRMA IMMACOLATA PALAZZO
con
COSIMO CINIERI

FILONE LETTERARIO

GRAMSCI LETTERE DAL CARCERE
e
DANTE VIANDANTE TRA INFERNO E PARADISO

FILONE LEGALITA'

AL MIO PAESE
liberamente tratto dal libro "Al mio paese. Sette vizi. Una sola Italia"
di Melania Petriello
con
SEBASTIANO NARDONE

giovedì 26 aprile 2012

Artemisia, Adelaide e Giancarlino Benedetti Corcos dipingono
alcuni elementi per la scena di PIER PAOLO POETA DELLE CENERI
25 aprile 2012 Auditorium Parco della Musica di Roma, Sala Sinopoli













INTERVISTA DI LAURA DE LUCA X LINDRO
in occasione di PIER PAOLO POETA DELLE CENERI
con COSIMO CINIERI, GIANNI DE FEO
regia: IRMA IMMACOLATA PALAZZO
da un'idea di GIANNI BORGNA
25 aprile 2012 Auditorium Parco della Musica di Roma, Sala Sinopoli

Per Irma:
-D: quale la chiave di q spettacolo?
R: L’emozione. Carlo Fuortes ci ospita nella Sala Sinopoli (1.200 posti) e bisogna tener conto di questo. Almeno a me piace considerare questa sua proposta una sfida estetica. Parlare a 100 persone è diverso che parlare a 1.000 o a 2.700, così come abbiamo fatto, per esempio, con Pierino e il lupo, due mesi fa. Il linguaggio deve diventare semplice, ti devi sforzare ancora di più di arrivare al cuore delle cose. Trovare denominatori comuni in cui tutti possano immediatamente riconoscersi, se non per erudizione, almeno per umanità. Una posizione ben diversa da quella di Pasolini quando decise di dedicarsi al teatro. Erano gli anni in cui la sua vita era indirizzata soprattutto al cinema. Una sera, mentre cenava con Moravia, ebbe un attacco d’ulcera. Sputò sangue… Ricoverato in ospedale, fu costretto all’immobilità. In breve, scrisse sei tragedie, poi elaborate negli anni. Teatro in versi. Nonostante con il cinema avesse raggiunto il successo delle grandi platee, col teatro preferì scrivere per pochi ‘eletti’. Al suo solito, una provocazione. Quindi, come dicevo all’inizio, la chiave su cui puntiamo è l’emozione. Per arrivare al cuore di molti. Lo si spera. In questi mesi, chiusa a casa come un monaco, ho divorato la sua opera, migliaia di pagine, ossessivamente, per consentirmi di metabolizzarla e rielaborarla… Di perdermi in essa. Di attraversare un cerchio di fuoco e uscirne con un dono, nuovo… Ogni segno teatrale ora è un grumo di sangue che in sintesi contiene tantissimi suoi riferimenti. Un esempio per tutti: in scena c’è un bravissimo attore-cantante: Gianni De Feo che interpreterà alcune delle canzoni di Pasolini. Tra queste: Che cosa sono le nuvole? Ebbene, non so per quale motivo inconscio, ho subito immaginato che Gianni, il quale ha una vaga somiglianza con Ninetto Davoli –stessi ricci-, la cantasse nudo, tranne due enormi ali di velluto nero. Giorni dopo questa immagine, scopro che Pino Pelosi, l’assassino del poeta, ha scritto il suo primo libro dal titolo: Io, Angelo Nero… Che coincidenza, vero? Ecco, è questo il modo in cui sto procedendo: lascio che il materiale mi abiti, mi attraversi, in attesa che appaiono da sole delle immagini, dei segni che andranno a creare poi la struttura narrativa. Quali sono questi segni? Il palcoscenico è una scatola nera. Sul fondo, un praticabile: l’altare/teatrino delle Rose: un ‘carmina figurata’, sorta di casotto-camerino d’attore con specchio e servomuto portante gli abiti di scena del cantante; in proscenio un altro praticabile: l’altare/teatrino delle belle bandiere, un reperto dei palchi dei comizi anni ‘40: stracci (ridipinti) che ricordano la rossa bandiera del PCI con falce e martello, la bandiera dei partigiani e quella bianca contro Putin; elementi scenografici del pittore-scultore Giancarlino Benedetti Corcos.
A mezz’aria si accenderà a tempo una luminaria di lampadine colorate da balera. Ancora sul fondo, in basso, il campo di lucciole per il finale.
Al centro del palcoscenico, su pedane rialzate, si sistemerà una band/orchestrina di 7 solisti che sa suonare Bach, Mozart  e canzoni da jukebox, rifacimenti delle musiche dei suoi film, orchestrati dal M° Domenico Virgili. In proscenio, una lingua di sabbia (Ostia).
Diverse postazioni foniche, sistemate negli altari/teatrini per la voce di Cosimo Cinieri.
Sullo schermo nero, ad opera di Max Ciogli, viene ‘visualizzato’ il Calendario con 12 foto di PPP, ormai diventato – malgré lui- icona pop della società dei consumi.
Ci sono morti che ci appartengono più delle altre, perché ci lasciano rabbiosamente orfani. E’ il caso di PPP. Lo spettacolo parte da questo VUOTO e rigurgita, in un magma sfilacciato di versi rossi rossi rossi, sbocchi ematici suddivisi in 10 capitoli+UN PROLOGO e un EPILOGO, legati ai suoi TEMI. Un affresco. Il testo, in collaborazione con Gianni Borgna, che da due anni ci invita a creare insieme uno spettacolo sul suo amato Pasolini, è innestato su Pier Paolo, poeta delle ceneri e Coccodrillo, usati come griglia autobiografica. Del corpus pasoliniano, della sua imponente e torrenziale logorrea poetica, vitale piano-sequenza interrotto dalla morte violenta, sopravvivono in collage resti, brandelli d’un furente e amorevole pasto dionisiaco, frammenti ridotti a volte a capitoletti buoni per FB (su cui è molto citato) o a slogan per Twitter, veicoli dell’immaginario collettivo di oggi. Uno spettacolo aperto, tanto abile da ‘fingere’ una sorta di mood tra happening e performance, e che abbia l’aria del non finito, di una cosa in fieri, in divenire, così come lui, forse, avrebbe voluto che fosse letta la sua opera.

D:-Come avete declinato il concetto di "diversità"?
R: Uno dei capitoli dello spettacolo, il settimo credo, è dedicato all’amore. Comincia Gianni, cantando: Tango de li sette veli, streaptease ironico. Finisce Cosimo recitando Uno dei tanti epiloghi, poesia dedicata al suo grande amore Ninetto Davoli, sulle note di Amado mio che, tra l’altro, fu uno dei primi romanzi di Pasolini, dove parlava appunto della sua iniziazione omosessuale. Per Pasolini, l’omosessualità rappresentava il veicolo di un’esperienza conoscitiva: la conoscenza di un’altra classe sociale, letteralmente un altro mondo. Credo però che nel suo caso, il concetto di diversità sia molto più allargato. Pasolini era un ‘diverso’ a 360°, poiché, essendo uno sperimentatore, ha attraversato trasversalmente ogni aspetto della vita, sia artistica che privata. Non si è mai nascosto. Aveva coraggio in ogni cosa, lui. Politicamente era un eretico. Ed era un diverso anche come poeta, giornalista, cineasta. E in teatro? Egli stesso lo definiva il “teatro della diversità”. Le sue tragedie sono una consapevole riflessione sul diverso e sulla diversità che incrina l’ordine borghese. Di ORGIA, di cui noi inseriamo un brano, PPP dice: “Con questo marito e questa moglie ho voluto dire del rapporto di chi è diverso (per qualche ragione) con la storia (…) i diversi generalmente sono reclusi nei ghetti, vengono esclusi dalla società, quindi, in qualche modo, vengono esclusi dal fare storia. (…) ORGIA è il dramma della disperata lotta di chi è diverso contro la normalità che respinge ai margini, che rinchiude nel ghetto, è il rapporto tra DIVERSITA’ e STORIA”.

D:-La vitalità di PPP oggi. Quali sarebbero stati a tuo parere i suoi bersagli preferiti?
Il potere, sicuramente. Più arrogante che mai, greve, spudorato, corrotto al di là di ogni immaginazione. L’opposizione, inesistente, lasciata nelle mani di un comico (e meno male che c’è!). E i giovani, acquiescenti, completamente manipolati dai gadgets tecnologici, anestetizzati. Prostituiti per uno stipendio di fame, da consumare in voli low cost e nei tristi gironi infernali dei centri commerciali, i templi di oggi, come li chiama il mio amico Aldo Di Russo. E io chiedo a questi giovani: non avete lavoro, non avete futuro, com’è che non scendete per strada a battervi ad oltranza? Venite a vedere da uno che non s’è risparmiato, ad imparare come ci si gioca la vita in prima persona. Appassionatamente.

D:-Eppure, PPP non assomiglia ai nostri tempi, forse non sarebbe a suo agio nell'oggi. C'è qualcosa di PPP fortemente inattuale. Se sei d'accordo, cosa?
Che bella parola ‘inattuale’… Che senso ha parlare di attualità di un poeta? Pasolini stesso si definì inattuale, perché riconosceva al poeta la capacità di avere uno sguardo profetico sulle cose, e quindi di esser proiettato in avanti, e al tempo stesso di essere ‘antico’, legato ai valori di un tempo primigenio, valori da salvaguardare perché fondanti la nostra umanità. Credo sia proprio l’inattualità la principale caratteristica dell’artista in genere, questo suo essere fuori dal tempo meschino dell’oggi, del quotidiano, miope metronomo che misura ogni cosa parzialmente, e dove tace ogni anelito di assoluto per ansia di sopravvivenza. Mario Luzi scrisse un saggio magnifico su questo concetto. Vi si dice che l’arte è irriducibile al relativo e che non può mai essere uno strumento di divulgazione delle cose dell’oggi. L’arte, la poesia rifiutano il mondo così com’è. Ecco cosa c’è dietro gli atteggiamenti dissacratori. Moderno? Contemporaneo? Il presente gli sta stretto al poeta. Per Luzi la poesia è inattuale, sempre, perché non è una cosa immediatamente utilizzabile, la sua richiesta è integrale.



Per Cosimo:
D: -PPP era  tanto intellettualmente "acceso" da risultare a volte violento, impietoso E poi sapeva anche essere tenero
Come hai risolto q apparente contraddizione, sul piano dell'interpretazione?
La contraddizione è in ogni uomo, spesso appiattito su una sola immagine di sé. Si recita la commedia del buono o del cattivo o del vivace o del moralista o del trasgressivo, ecc. ecc. senza scovare tutte le autentiche sfaccettature del nostro essere. Basta evitare le tante ‘o’ e sostituirle con al congiunzione ‘e’. Credo che nella nostra scatola cranica sia contenuto un universo differenziato, che non è contraddittorio ma naturale. Inseguire, rintracciare, esponenziale parola per parola, verso per verso, trasforma ogni pensiero in un caleidoscopio che non è incongruente ma “vero” teatralmente. L’attore non può essere un ripetitore di parole, egli è un oggetto misterioso che fa balzare in evidenza ora un nero, ora un bianco, ora un rosso, ora un blu nel suono della voce, nell’atteggiamento del corpo, nella complessa visione di sé, dando “verità” a ciò che propone: un gioco da bambini, da 3 a 5 anni, quando si ha il piacere di giocare l’impossibile con una determinazione assoluta. Tutto è possibile, il resto è noia se si tenta di interpretare personaggi senza viverli, senza offrire se stessi a quella creazione così effimera, per una serata, per un momento nel presente, minuto per minuto o, addirittura, secondo per secondo. Come la vita.

D: -Altre contraddizioni di q difficile ruolo?
R: Detesto le parole ruolo, personaggio, interpretazione. Le sostituirei con ricerca vocale, musicale, corporale, sollecitata dalle sensazioni che genera la pagina scritta. Non eseguire un compito pedissequo di rappresentazione, ma scoprire un universo di sentimenti, stati d’animo, tonalità, gesti, dimenticanze e sorprese: lasciarsi andare per trovare, al di là della pagina scritta, un “facciamo finta che” senza mentire. Un gioco buffo che non dà tregua, ma fa scoprire parti di sé impantanate in una gelatinosa coscienza, obsoleta e castrante. Quando ho incontrato Macbeth, a tratti ne facevo un bambino spaurito, un assassino incallito, un delicato amante, un visionario senza freni, travolto da una caterva di stimoli emotivi e mai rassegnato alla sua fine teatrale. Invocava un “sipario” per non morire. (Si deve replicare domani).