giovedì 26 aprile 2012

Artemisia, Adelaide e Giancarlino Benedetti Corcos dipingono
alcuni elementi per la scena di PIER PAOLO POETA DELLE CENERI
25 aprile 2012 Auditorium Parco della Musica di Roma, Sala Sinopoli













INTERVISTA DI LAURA DE LUCA X LINDRO
in occasione di PIER PAOLO POETA DELLE CENERI
con COSIMO CINIERI, GIANNI DE FEO
regia: IRMA IMMACOLATA PALAZZO
da un'idea di GIANNI BORGNA
25 aprile 2012 Auditorium Parco della Musica di Roma, Sala Sinopoli

Per Irma:
-D: quale la chiave di q spettacolo?
R: L’emozione. Carlo Fuortes ci ospita nella Sala Sinopoli (1.200 posti) e bisogna tener conto di questo. Almeno a me piace considerare questa sua proposta una sfida estetica. Parlare a 100 persone è diverso che parlare a 1.000 o a 2.700, così come abbiamo fatto, per esempio, con Pierino e il lupo, due mesi fa. Il linguaggio deve diventare semplice, ti devi sforzare ancora di più di arrivare al cuore delle cose. Trovare denominatori comuni in cui tutti possano immediatamente riconoscersi, se non per erudizione, almeno per umanità. Una posizione ben diversa da quella di Pasolini quando decise di dedicarsi al teatro. Erano gli anni in cui la sua vita era indirizzata soprattutto al cinema. Una sera, mentre cenava con Moravia, ebbe un attacco d’ulcera. Sputò sangue… Ricoverato in ospedale, fu costretto all’immobilità. In breve, scrisse sei tragedie, poi elaborate negli anni. Teatro in versi. Nonostante con il cinema avesse raggiunto il successo delle grandi platee, col teatro preferì scrivere per pochi ‘eletti’. Al suo solito, una provocazione. Quindi, come dicevo all’inizio, la chiave su cui puntiamo è l’emozione. Per arrivare al cuore di molti. Lo si spera. In questi mesi, chiusa a casa come un monaco, ho divorato la sua opera, migliaia di pagine, ossessivamente, per consentirmi di metabolizzarla e rielaborarla… Di perdermi in essa. Di attraversare un cerchio di fuoco e uscirne con un dono, nuovo… Ogni segno teatrale ora è un grumo di sangue che in sintesi contiene tantissimi suoi riferimenti. Un esempio per tutti: in scena c’è un bravissimo attore-cantante: Gianni De Feo che interpreterà alcune delle canzoni di Pasolini. Tra queste: Che cosa sono le nuvole? Ebbene, non so per quale motivo inconscio, ho subito immaginato che Gianni, il quale ha una vaga somiglianza con Ninetto Davoli –stessi ricci-, la cantasse nudo, tranne due enormi ali di velluto nero. Giorni dopo questa immagine, scopro che Pino Pelosi, l’assassino del poeta, ha scritto il suo primo libro dal titolo: Io, Angelo Nero… Che coincidenza, vero? Ecco, è questo il modo in cui sto procedendo: lascio che il materiale mi abiti, mi attraversi, in attesa che appaiono da sole delle immagini, dei segni che andranno a creare poi la struttura narrativa. Quali sono questi segni? Il palcoscenico è una scatola nera. Sul fondo, un praticabile: l’altare/teatrino delle Rose: un ‘carmina figurata’, sorta di casotto-camerino d’attore con specchio e servomuto portante gli abiti di scena del cantante; in proscenio un altro praticabile: l’altare/teatrino delle belle bandiere, un reperto dei palchi dei comizi anni ‘40: stracci (ridipinti) che ricordano la rossa bandiera del PCI con falce e martello, la bandiera dei partigiani e quella bianca contro Putin; elementi scenografici del pittore-scultore Giancarlino Benedetti Corcos.
A mezz’aria si accenderà a tempo una luminaria di lampadine colorate da balera. Ancora sul fondo, in basso, il campo di lucciole per il finale.
Al centro del palcoscenico, su pedane rialzate, si sistemerà una band/orchestrina di 7 solisti che sa suonare Bach, Mozart  e canzoni da jukebox, rifacimenti delle musiche dei suoi film, orchestrati dal M° Domenico Virgili. In proscenio, una lingua di sabbia (Ostia).
Diverse postazioni foniche, sistemate negli altari/teatrini per la voce di Cosimo Cinieri.
Sullo schermo nero, ad opera di Max Ciogli, viene ‘visualizzato’ il Calendario con 12 foto di PPP, ormai diventato – malgré lui- icona pop della società dei consumi.
Ci sono morti che ci appartengono più delle altre, perché ci lasciano rabbiosamente orfani. E’ il caso di PPP. Lo spettacolo parte da questo VUOTO e rigurgita, in un magma sfilacciato di versi rossi rossi rossi, sbocchi ematici suddivisi in 10 capitoli+UN PROLOGO e un EPILOGO, legati ai suoi TEMI. Un affresco. Il testo, in collaborazione con Gianni Borgna, che da due anni ci invita a creare insieme uno spettacolo sul suo amato Pasolini, è innestato su Pier Paolo, poeta delle ceneri e Coccodrillo, usati come griglia autobiografica. Del corpus pasoliniano, della sua imponente e torrenziale logorrea poetica, vitale piano-sequenza interrotto dalla morte violenta, sopravvivono in collage resti, brandelli d’un furente e amorevole pasto dionisiaco, frammenti ridotti a volte a capitoletti buoni per FB (su cui è molto citato) o a slogan per Twitter, veicoli dell’immaginario collettivo di oggi. Uno spettacolo aperto, tanto abile da ‘fingere’ una sorta di mood tra happening e performance, e che abbia l’aria del non finito, di una cosa in fieri, in divenire, così come lui, forse, avrebbe voluto che fosse letta la sua opera.

D:-Come avete declinato il concetto di "diversità"?
R: Uno dei capitoli dello spettacolo, il settimo credo, è dedicato all’amore. Comincia Gianni, cantando: Tango de li sette veli, streaptease ironico. Finisce Cosimo recitando Uno dei tanti epiloghi, poesia dedicata al suo grande amore Ninetto Davoli, sulle note di Amado mio che, tra l’altro, fu uno dei primi romanzi di Pasolini, dove parlava appunto della sua iniziazione omosessuale. Per Pasolini, l’omosessualità rappresentava il veicolo di un’esperienza conoscitiva: la conoscenza di un’altra classe sociale, letteralmente un altro mondo. Credo però che nel suo caso, il concetto di diversità sia molto più allargato. Pasolini era un ‘diverso’ a 360°, poiché, essendo uno sperimentatore, ha attraversato trasversalmente ogni aspetto della vita, sia artistica che privata. Non si è mai nascosto. Aveva coraggio in ogni cosa, lui. Politicamente era un eretico. Ed era un diverso anche come poeta, giornalista, cineasta. E in teatro? Egli stesso lo definiva il “teatro della diversità”. Le sue tragedie sono una consapevole riflessione sul diverso e sulla diversità che incrina l’ordine borghese. Di ORGIA, di cui noi inseriamo un brano, PPP dice: “Con questo marito e questa moglie ho voluto dire del rapporto di chi è diverso (per qualche ragione) con la storia (…) i diversi generalmente sono reclusi nei ghetti, vengono esclusi dalla società, quindi, in qualche modo, vengono esclusi dal fare storia. (…) ORGIA è il dramma della disperata lotta di chi è diverso contro la normalità che respinge ai margini, che rinchiude nel ghetto, è il rapporto tra DIVERSITA’ e STORIA”.

D:-La vitalità di PPP oggi. Quali sarebbero stati a tuo parere i suoi bersagli preferiti?
Il potere, sicuramente. Più arrogante che mai, greve, spudorato, corrotto al di là di ogni immaginazione. L’opposizione, inesistente, lasciata nelle mani di un comico (e meno male che c’è!). E i giovani, acquiescenti, completamente manipolati dai gadgets tecnologici, anestetizzati. Prostituiti per uno stipendio di fame, da consumare in voli low cost e nei tristi gironi infernali dei centri commerciali, i templi di oggi, come li chiama il mio amico Aldo Di Russo. E io chiedo a questi giovani: non avete lavoro, non avete futuro, com’è che non scendete per strada a battervi ad oltranza? Venite a vedere da uno che non s’è risparmiato, ad imparare come ci si gioca la vita in prima persona. Appassionatamente.

D:-Eppure, PPP non assomiglia ai nostri tempi, forse non sarebbe a suo agio nell'oggi. C'è qualcosa di PPP fortemente inattuale. Se sei d'accordo, cosa?
Che bella parola ‘inattuale’… Che senso ha parlare di attualità di un poeta? Pasolini stesso si definì inattuale, perché riconosceva al poeta la capacità di avere uno sguardo profetico sulle cose, e quindi di esser proiettato in avanti, e al tempo stesso di essere ‘antico’, legato ai valori di un tempo primigenio, valori da salvaguardare perché fondanti la nostra umanità. Credo sia proprio l’inattualità la principale caratteristica dell’artista in genere, questo suo essere fuori dal tempo meschino dell’oggi, del quotidiano, miope metronomo che misura ogni cosa parzialmente, e dove tace ogni anelito di assoluto per ansia di sopravvivenza. Mario Luzi scrisse un saggio magnifico su questo concetto. Vi si dice che l’arte è irriducibile al relativo e che non può mai essere uno strumento di divulgazione delle cose dell’oggi. L’arte, la poesia rifiutano il mondo così com’è. Ecco cosa c’è dietro gli atteggiamenti dissacratori. Moderno? Contemporaneo? Il presente gli sta stretto al poeta. Per Luzi la poesia è inattuale, sempre, perché non è una cosa immediatamente utilizzabile, la sua richiesta è integrale.



Per Cosimo:
D: -PPP era  tanto intellettualmente "acceso" da risultare a volte violento, impietoso E poi sapeva anche essere tenero
Come hai risolto q apparente contraddizione, sul piano dell'interpretazione?
La contraddizione è in ogni uomo, spesso appiattito su una sola immagine di sé. Si recita la commedia del buono o del cattivo o del vivace o del moralista o del trasgressivo, ecc. ecc. senza scovare tutte le autentiche sfaccettature del nostro essere. Basta evitare le tante ‘o’ e sostituirle con al congiunzione ‘e’. Credo che nella nostra scatola cranica sia contenuto un universo differenziato, che non è contraddittorio ma naturale. Inseguire, rintracciare, esponenziale parola per parola, verso per verso, trasforma ogni pensiero in un caleidoscopio che non è incongruente ma “vero” teatralmente. L’attore non può essere un ripetitore di parole, egli è un oggetto misterioso che fa balzare in evidenza ora un nero, ora un bianco, ora un rosso, ora un blu nel suono della voce, nell’atteggiamento del corpo, nella complessa visione di sé, dando “verità” a ciò che propone: un gioco da bambini, da 3 a 5 anni, quando si ha il piacere di giocare l’impossibile con una determinazione assoluta. Tutto è possibile, il resto è noia se si tenta di interpretare personaggi senza viverli, senza offrire se stessi a quella creazione così effimera, per una serata, per un momento nel presente, minuto per minuto o, addirittura, secondo per secondo. Come la vita.

D: -Altre contraddizioni di q difficile ruolo?
R: Detesto le parole ruolo, personaggio, interpretazione. Le sostituirei con ricerca vocale, musicale, corporale, sollecitata dalle sensazioni che genera la pagina scritta. Non eseguire un compito pedissequo di rappresentazione, ma scoprire un universo di sentimenti, stati d’animo, tonalità, gesti, dimenticanze e sorprese: lasciarsi andare per trovare, al di là della pagina scritta, un “facciamo finta che” senza mentire. Un gioco buffo che non dà tregua, ma fa scoprire parti di sé impantanate in una gelatinosa coscienza, obsoleta e castrante. Quando ho incontrato Macbeth, a tratti ne facevo un bambino spaurito, un assassino incallito, un delicato amante, un visionario senza freni, travolto da una caterva di stimoli emotivi e mai rassegnato alla sua fine teatrale. Invocava un “sipario” per non morire. (Si deve replicare domani).

lunedì 23 aprile 2012

25 aprile 2012 ore 21





AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA DI ROMA, SALA SINOPOLI

COSIMO CINIERI
PIER PAOLO POETA DELLE CENERI


regia

IRMA IMMACOLATA PALAZZO


da un'idea di GIANNI BORGNA

drammaturgia 
IRMA IMMACOLATA PALAZZO e GIANNI BORGNA

con la partecipazione di

GIANNI DE FEO


e
MARCELLO MAIETTA

DOMENICO VIRGILI direzione, pianoforte, orchestrazione
MARCO ARIANO batteria e percussioni
ROBERTO BELLATALLA contrabbasso
PIERO BRONZI flauto e sax
CARLO COSSU violino
MARCELLO FIORINI fisarmonica
ANTONIO IASEVOLI chitarra classica ed elettrica

MAX CIOGLI installazione

GIANCARLINO BENEDETTI CORCOS pittore-scultore
e Luciano, assistente

FABIANA DI MARCO impianto scenico
MARZIA ALLEGRI aiuto scenografa
GIAN MARIA SPOSITO costumi
DANIELE LANCI foto di scena
GIANNANTONIO MARCON video

DAMIANO PALAZZO direttore di scena
STEFANIO LATTANZIO datore luci



Promozione e segreteria organizzativa
InventaEventi tel 06.98188901 - mail: progetti@inventaeventi.com

Promozione Scuole Itaca:
tel 06.48930736 - mail: info@itacaitaca.it

Uff.Stampa Elisabetta Castiglioni
tel 06.3225044 - mail: elisabetta@elisabettacastiglioni.com

lunedì 16 aprile 2012

PROGETTO SCUOLA TEATRO ELISEO


17 APRILE 2012


COSIMO CINIERI
DANTE VIANDANTE TRA INFERNO E PARADISO


regia
IRMA IMMACOLATA PALAZZO





A spasso nel tempo con Pasolini, Pontormo, “gli Uccelli” e Laura Rosso
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Ho conosciuto Pasolini a 14 anni. Insieme al famoso gruppo “degli Uccelli” di Architettura che avevano con Renato Guttuso realizzato un graffito sulla parete della facoltà a Valle Giulia; loro avevano con Pierpaolo un grande rapporto affettivo, di intenti operativi comuni nel rapporto con quella “realtà” della quale Pasolini era maestro e che “gli uccelli” molto spesso realizzavano in azioni poetiche e di realtà trasognata e visionaria (vedi il loro arrampicarsi e rimanere diversi giorni sulla “Spirale della conoscenza“ di Francesco Borromini alla Sapienza o andare nelle case degli intellettuali di sinistra a creare degli happening realisti per metterli fortemente in crisi). Andammo con Paolo Ramundo, Straccio, Adachiara Zevi e Diavolo (gli Uccelli) in pulmino Volkswagen a trovare Pierpaolo all’istituto Luce: fu un viaggio per me lunghissimo, a quattordici anni, “fuori le Mura”. Lo trovammo chino alla moviola dolorante per un’ulcera… con i suoi occhiali che ogni tanto appoggiava alla moviola, ci disse che la sua ulcera sanguinava. Questa sua esclamazione mi si è fissata nella memoria, perché Pierpaolo mi mostrava una sua sofferenza fisica, dell’anima e della sua creatività; nonostante la mia età adolescenziale capivo da queste parole una metafora della sua sofferenza. In questo si riassume la pratica e l’azione artistica di Pasolini: entrare nelle ferita dell’animo umano per salire in alto con la poesia e la testimonianza, con il suo essere visionario come lo erano i più grandi Santi e Profeti.
E questo essere visionario lo portava dove il colore pastello del Pontormo (specialmente nelle pala della deposizione nella cappella Capponi progettata da Brunelleschi a Santa Felicita) gli permetteva di esplorare la realtà ma anche quell’invisibile che è dietro ogni opera di un artista che si è misurato poeticamente con le tessere musive di un arte legata al cuore e al fegato.
A Santa Felicita colori sgargianti innaturali, allungamenti delle figure, composizione delle pose in maniera complessa, il peso del Cristo che sembra quasi lievitare.
Mi sforzerò quindi di usare per le scene colori pastello e visionari secondo i dettami del grande maestro Pierpaolo Pasolini “maestro di scuola elementare” che è riuscito a porre le sue visioni della realtà in una cornice tragicomica. A questo punto voglio citare tre righe del “teatro di Laura Rosso” che inneggia in un suo testo teatrale ad un “teatro della zucchina china china e felice e tutti la guardano con delicatezza, gentilina acqua e sapone” in questo teatro all’inizio ci si distacca dalla realtà perché la si trova insopportabile, in totalità o in parte, e poi si evocano gridando Nicola Pisano, Arnolfo Di cambio, Giovanni Bellini, Giorgione, Tintoretto e Tiziano e tanti altri come catarsi.
UN TEATRO DELLA ZUCCHINA MAGARI CON UN PO’ DI RICOTTA SALVERA’ LA NOSTRA ESISTENZA E LA NOSTRA ANIMA.
Giancarlino Benedetti Corcos, pittore-scultore

domenica 15 aprile 2012



PIER PAOLO POETA DELLE CENERI
AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA DI ROMA, SALA SINOPOLI
25 APRILE ORE 21

con COSIMO CINIERI
GIANNI DE FEO

da un'idea di GIANNI BORGNA
drammaturgia:
IRMA IMMACOLATA PALAZZO e GIANNI BORGNA
regia: IRMA IMMACOLATA PALAZZO


INTERVISTA

Paolo Logli, sceneggiatore e scrittore, a Gianni Borgna, ideatore:
D: Rispetto a quando scriveva Pasolini, lo scenario politico e culturale italiano è decisamente peggiorato. Si è imbarbarito, volgarizzato, ulteriormente lottizzato ed ideologizzato. Il poeta già allora reclamava l’etica come tema inevitabile, ed esprimeva la dolorosa necessità di non sfuggire i temi di fondo dell’esistenza: libertà di sogno, diritto alla felicità e all’esistenza, sacralità della vita e dell’ideale. In che modo le sue parole possono servire a risvegliare la passione morale e civile in uno scenario prosaico come il nostro?
R: Non credo che la società italiana di allora fosse così decisamente migliore. La polizia e la magistratura, tanto per dire, erano sicuramente peggiori. Proprio Pasolini fu oggetto di una persecuzione costante da parte di queste istituzioni intrise ancora di spirito fascista. Anche la classe dirigente politica - più dignitosa, certo - era per molti versi peggiore. Si pensi solo che la denuncia alla magistratura di "Ragazzi di vita", il primo romanzo dello scrittore, fu fatta direttamente dalla presidenza del consiglio dei ministri. Oggi, almeno questo, sarebbe impensabile. Omofobia e perbenismo erano a dir poco ossessivi. Per non dire che una parte considerevole delle classi subalterne era molto poco tutelata. C'era, però, una forte opposizione sociale e politica. C'erano partiti in cui anche gli oppressi si riconoscevano. C'erano ideali da contrapporre al potere e per i quali credere e lottare. E c'era una società intellettuale non solo ricca di talenti, spesso grandissimi, ma anche vivace, libera, anticonformista.Uno di questi, uno dei maggiori e dei più versatili, era senz'altro Pasolini. A un giovane com'ero io allora, e a tanti miei coetanei, Pasolini aprì gli occhi e la mente. Oggi intellettuali così mancano. Certo, se glielo si fa conoscere, la sua arte e il suo pensiero sono tanto lucidi e attuali da potere ancora servire da antidoto ai terribili mali che ci affliggono.

Jessica Tani, psicologa, a Cosimo Cinieri, attore:
D: Dare corpo e voce a Pier Paolo Pasolini significa innanzitutto entrare nella sua anima...ed è proprio da qui che nasce la mia domanda: che cosa vibra al suo interno, qual è il suo grido?
R: No entrare nella sua anima, ma pescare nella mia le sensazioni che una parola, un verso, un pensiero di Pasolini suscitano. Spesso, affrontando a primo acchitto una sua opera, le emozioni si nascondono in giri complessi, in visioni fulminanti, in anfratti bui. Ma, nel leggere e rileggere, nell’ascoltarmi, nell’improvvisare, finalmente esse cominciano  a danzare ed io cerco di catturarle con l’‘amo’ per trasformarle in suono, in voce, in sguardi, in gesti e, sotto il controllo della tecnica’, in autentica commozione. Arricchendo il bagaglio emotivo, la vicinanza del poeta diviene quasi un abito, una pelle, una nuova essenza che non è del poeta ma dell’attore che vive il suo gioco evitando la recita.

D: Quale "coloritura" del Grande Intellettuale sente più affine a lei, al suo modo di essere, di percepire? C'è stato un momento in cui calandosi nei suoi panni è entrato empaticamente a contatto con le sue emozioni, la sua rabbia, il suo Ego?
R: Di Pasolini mi è dentro al cuore la sconvolgente verità, il coraggio dello scandalo, la forza di essere ciò che si è,  la capacità di guardare il mondo al di là del presente, il capire a fondo le pulsioni che guidano gli esseri umani, e la loro diffusa, ingenua, ignoranza di sé. Siamo ancora troppo giovani, come specie, e questo produce ferocia e ottusità. Socrate era un suo punto di riferimento. Siamo lontani da lui perché siamo lontani da noi. Capire le sue emozioni? Sono conoscibili le altrui emozioni solo se filtrate dal nostro sentire. Pasolini ha un solo torto: ha scritto troppo in un paese che legge pochissimo. In altri paesi è un idolo, per la maggior parte degli italiani è soltanto un personaggio scomodo.

Jessica Tani a Irma Immacolata Palazzo, regista:
D: Poeta, romanziere, drammaturgo, linguista, giornalista, cineasta... chi è Pier Paolo Pasolini?
R: Un poeta a tutto tondo. Anche quando scriveva romanzi, pamphlet o girava. Parla difatti di ’cinema di poesia’ (a suo dire irrazionalistico e fondamentalmente onirico, per la elementarità dei suoi archetipi) e quando affronta il teatro, scrive tragedie in versi. A  30 anni, da appassionato linguista, pubblica gli studi su La poesia dialettale del Novecento: di quanti poeti napoletani, siciliani, friulani, romani discorre, e con quale perizia. Ogni disciplina, di cui fu sperimentatore e tecnico cosciente: arguto semiologo di cinema e teorico del manifesto del ‘teatro di parola’ da contrapporre all’inviso ‘teatro della chiacchiera’ che imperversava sui palcoscenici, ogni branca, ogni disciplina, dicevo,  sconfina comunque nella poesia. Pasolini fu “un poeta di sette anni” come Rimbaud e da allora la poesia attraversa tutta la sua vita: piano-sequenza infinito che solo la morte interrompe. Testimonianza di questa coscienza precoce la ritroviamo in una delle sue lettere, tra il ’40-’42, scritta a un compagno di liceo: “Ormai vedo che la mia vita dovrà rinunciare a quello che gli uomini chiamano ‘vivere’; e raccogliersi tutta in una propria visione poetica degli avvenimenti, e gustare così le minime cose, trasformare sempre in ente fantastico ciò che suole accadere anche nel modo più banale (…)”.
Quasi fosse una ‘chiamata’, la poesia, e un’ossessione, ossessione esistenziale. Sembra quasi di vederlo, sempre con un taccuino in mano, dove annota decine e decine di paesaggi/location naturali e dell’anima, strade e città d’ogni parte del mondo, visi, umiliati e arroganti, perduti, riscattati, prati, palazzoni, glicini, tombe, sessi, amori, ciuffi, santi, bandiere, puttane, contadini, usignoli, scavatrici. Una logorrea poetica incontenibile tanto che un critico vede in Pasolini un precursore dei rapper. Rimane il mistero se tanta poesia gli serva a fissare una realtà che per troppa esuberanza pare sfuggirgli, oppure gli serva contemplarla -questa realtà- per rinventarla, riscriverla… La sua, mi si perdoni l’ardire, è una poesia dell’anima, traboccante di rimembranze orfiche dove l’invitato eletto non è Apollo, bensì Dioniso/Zagreo; una poesia vicina alla terra, piena di umori e contraddizioni umanissime. Il nostro spettacolo, privilegia emblematici momenti (vorrei vedere, PPP ha scritto 20.000  e passa pagine!!!), procedendo per singulti, illuminazioni, sbocchi ematici, e vive in un’atmosfera appassionata e fortemente emotiva,  attingendo e perdendosi nel magma pasoliniano che è sempre vibrante di vita vera e perciò assolutamente sincera e autentica. Scandalosa. Come nota lo studioso Raoul Kirchmayr, non dimentichiamo che Pasolini amava definirsi un poeta ab joi, espressione della poesia provenzale, dove il termine aveva un significato particolare di raptus poetico, di esaltazione, di ebbrezza poetica. L’usignolo che canta ab joi, per gioia. Una gioia intrisa però di nostalgia della vita, la stessa che si ritrova nella sofferenza d’amore che dà gioia perché è vita e morte al tempo stesso. Non c’è gioia che non s’inscriva in una legge della perdita e del dolore, perché c’è accrescimento della vita solo dove la vita pare svanire…

D: Pasolini equipara la televisione ad un nuovo strumento del potere, questa convinta affermazione pensa possa ancora scuotere qualche animo od oramai il mondo si è "incasellato" nella sua apparente tranquillità e continua a stagnare nella rassegnazione e protesta tacita, vivendo la televisione come un mezzo evasivo? Non vedendo o non volendo vedere cosa cela questo apparentemente semplice strumento mediatico?
Certamente, allora, la TV fu giustamente demonizzata da PPP, in quanto causa della perdita della ricchezza linguistica in cambio di una lingua banalizzata dal gergo televisivo. Responsabile della mutazione antropologica, proponendo modelli di comportamento, addirittura conformizzava la protesta e l'opposizione, integrandole nel proprio discorso... 
Ma dopo la televisione è venuto il computer. Più ribelle, per fortuna, e anarchico. Come ogni strumento, esso è neutro e dipende dai filtri di chi lo usa. E, per la varietà delle opzioni, sembra che non ci venga imposto nulla, anzi. Oggi, possiamo scegliere noi il palinsesto. Il mondo tecnologico è un’immensa banca dati: un supermarket, e per di più, addirittura possiamo ‘creare’, essere interattivi. Manipolati? Ma da chi? Ma da quanti? Chi manipola chi? Siamo delle monadi tecnologiche: FB, Twitter e gli altri social netwok, aggregano un popolo autoreferenziale. Tutti affermano, negano, tolgono, mettono… Dal Barocco in poi, credo che sia necessaria l’accettazione di diversi e molteplici punti di vista. Non esiste più il Centro. Questo, dice il pc. Tacita rassegnazione? Non credo, la gente non si butterebbe dai balconi né si darebbe fuoco. Aspettiamoci delle sorprese. Tragedia, morte, vita: le cose di sempre.

D: Nella sua plurivalente capacità artistico-culturale qual è il messaggio tacito che Pasolini vuole promulgare? Un solo messaggio o più messaggi che si intersecano in una stessa trama?
R: Credo che di ‘tacito’, Pasolini non avesse nulla. Guerriero, scendeva sempre in campo, usando le parole come spade affilate. E anche quando non era il polemista arrabbiato ma il paziente pedagogo di Vie Nuove, che lo vedeva rispondere ai minatori, alle casalinghe, ai giovani studenti, le sue parole erano meticolose, precise, semplici all’occorrenza. Adamantine e dirette, sempre. I messaggi, mi chiedi… Dal ’72 al ’75, specialmente negli Scritti corsari, è palese la sua ossessione contro il ‘nuovo potere’ che ha messo in atto irreparabilmente la mutazione antropologica delle classi popolari. La tolleranza, anche sessuale, componente essenziale del consumismo, al posto della repressione diretta, secondo PPP, consente una falsa libertà, tipica dell’ideologia neo-edonistica, molto più totalitaria del fascismo. In quegli anni, come uno sbraitante profeta, non fa che aprirci gli occhi, ammonirci dei pericoli… Per esempio, il finale “Margherita”, scelto da Pasolini per Salò, l’ultimo suo film, a mio parere, è, in qualche modo, metafora di questa possibile e generale anestesia, la tanto temuta assuefazione, il peggiore dei crimini. Cos’è il sadismo se non la volontà di ‘risvegliare’ un corpo ottuso? Nel film, dopo tutte le violenze messe in atto dai Signori per soddisfare i loro appetiti sessuali, i due giovanissimi soldati repubblichini, come se niente fosse accaduto, ballano sulle note di un valzer e, semplicemente, uno chiede: Come si chiama la tua ragazza? Margherita, gli risponde l’altro… Il Potere sarà pure anarchico e praticamente fa ciò che vuole, ma la variabile impazzita è sempre la sua risposta. Ed è sempre ambigua. I due ragazzi sono diventati indifferenti ad ogni sopruso? Oppure: anche nell’ambiente più feroce e crudele, c’è una possibilità che la purezza, l’innocenza riesca a rimanere illibata? Mistero. Il poeta mostra e basta. Del resto, si sa, che in fin dei conti anche il peggior cinico non vuole che essere sconfessato. E’ lì la sua gelida provocazione. Di qua: sassi e ‘belle bandiere’. Ad oltranza. Il finale “Margherita” è anche il finale del nostro spettacolo, in un campo di lucciole…


Laura Curtale, giornalista, a Domenico Virgili, direttore d’orchestra:
D: La musica nella produzione artistica di Pasolini, occhio puntato su quel vissuto terreno dal sapore ancestrale, si fa strada in un paesaggio di scarna parvenza. Il linguaggio del suono solleva la coltre del silenzio?
R: …la musica fluttua nelle visioni di Pasolini irrompendo sulla scena ecumenica, landa desolata dell'animo e, in antitesi, in essa trova alimento e forza compositiva: sfolgoranti gemme di luce emergono dal medesimo sottosuolo in cui anguste presenze si agitano in assordante silenzio. Una musica -elemento magico su visioni monocrome o caleidoscopiche- si leva dalle cavità più infime, come forza dirompente eleva la visione al cielo delle percezioni. Lo sguardo di Pasolini compie così la sublimazione del brutto, trasferendo nel terreno il divino. E’ esemplare come nei lavori pasoliniani è insito il fatto che la musica rappresenti concretamente l’immaterialità, è quindi inutile rifarci ad ogni relativismo di gusto, di stile e di linguaggio musicale, o sterile sofisma cronologico. Ho svolto un tentativo di creare una sintesi personale, senza essere vincolato a nessun modello compositivo, ma semplicemente arricchendola di un’epoca musicale senza identificazione alcuna. Assoluta individualità, senza imposizioni di modelli o schemi convenzionali. L’ascolto dei pezzi sarà un’opportunità per scoprire dove inizia il linguaggio, a quali radici appartiene, e vedere già in nuce le caratteristiche principali.

Jessica Tani al fotografo Daniele Lanci:
D: Nei suoi scatti sul litorale di Ostia, dove l'Intellettuale trovò la morte, colpisce l'emergere di una maschera di sabbia, quasi con l'intento di celare il viso, di nascondersi. Vivere questa scena dietro una fotocamera cosa suscita, quali pensieri prendono forma? E soprattutto, dinanzi ad una scena così carica emotivamente, su quale focus si orienta il suo obiettivo affinché coloro i quali visualizzano i suoi fotogrammi si sentano co-protagonisti della scena?
R: Immergermi nella scena insieme all'attore Cosimo Cinieri mi ha catapultato improvvisamente nel mondo pasoliniano. Quei gesti, le luci intense del mattino, il mare del litorale romano, l'idroscalo di Ostia, tutto improvvisamente è sembrato così reale quasi che la maschera di Cosimo si sdoppiasse nel volto di Accattone ri-mettendo in luce l'umanità degradata di un mondo che Pasolini voleva mostrare.
Primi piani carichi di forti contrasti in bianco e nero, il mare sullo sfondo e la sabbia protagonista principale a creare la maschera di Accattone tramite il sapiente uso delle mani da parte di Cosimo. Altre foto sono state scattate sempre mantenendo forti contrasti con viraggi sul bianco e nero utilizzando come sfondi l'Idroscalo di Ostia. Per i tecnici della fotografia, ho utilizzato un 50mm con diaframmi molto aperti per poter immergere comunque l'osservatore all'interno della scena; un teleobiettivo avrebbe distaccato troppo il fondale dal soggetto.

Irma palazzo a Max Ciogli artista, compositore:
D: Quale apporto concreto può rappresentare  l'arte contemporanea in uno spettacolo?

R: L'arte arriva a creare un punto terzo tra la comunicazione del linguaggio verbale, del gesto e quello musicale, dove il teatro rispecchia una possibile "iperealtà" a noi celata dall'attuale "iperbolica" e pseudo-comunicazione. Cogliere l'attimo vuol dire quindi saper cogliere l'eternità del momento, non la prima mela. Ed è per questo che il mio lavoro vuole risvegliare le anime assopite attraverso un'istallazione che vede fondere le avanguardie multimediali che compenetrando e affiancando il concetto più profondo della pittura come mezzo, inizio e residuo di un processo del quale non siamo e non dobbiamo essere in grado di sapere se sia mai accaduto e se più profondamente stia accadendo dentro ognuno di noi.
Oggi. L'arte contemporanea diventa e fa diventare allora contenitore il contenuto e contenuto i contenitori ricongiungendo se stessa e  le arti nel loro senso più ampio.



venerdì 13 aprile 2012

ATTENZIONE!!!!! ATTENZIONE!!!!!
BASTARDI PIRATI INFORMATICI SI SONO IMPADRONITI DEI MIEI DUE ACCOUNT:
irma.palazzo@libero.it
irmaimmacolatapalazzo@gmail.com
E con questi stanno spedendo una mail a tutti i miei CONTATTI dicendo loro che mi trovo ad Abijan, in Giamaica, Kenia o altro luogo, in ospedale, e che ho bisogno di soldi.


L'unico mio indirizzo di posta elettronica è questo:
irmaimmacolatapalazzo0@gmail.com


Purtroppo il danno più grave che questi cerebrolesi mi hanno fatto è che hanno rimosso il BLOG.
Questo nuovo che ora vedete è in via di completamento.


14 aprile 2012
Per Giancarlino
Suggestioni pasoliniane – Sensibilità che è INCARNAZIONE

Follia appassionata (Picasso, per esempio)
di Raoul Kirchmayr

Pasolini afferma (dunque) una certa follia che è la condizione della chiarezza, poiché è grazie alla follia che l’espressione guadagna il suo nitore. Nel poemetto dedicato a Picasso, contenuto in Le ceneri di Gramsci, l’affermazione di questa follia chiude il canto di Pasolini, dopo una sequenza di immagini che è un vero e proprio montaggio cinematografico. Infatti, il procedimento poetico scelto da Pasolini non ha nulla  ache vedere con un’ekphrasis, non c’è nessuna tela di Picasso che viene descritta, ma è colto il SENSO DEL GESTO ARTISTICO, restituito nel suo movimento manuale che diventa macchia di colore e disarmonia compositiva: è l’espressione che irrompe sulla tela, la disorganizza o, meglio, la organizza secondo linee di tensione: squarci, graffi, cagli che emergono sulla tela come ‘intimità viscerali’.   Agli occhi di Pasolini, questo è un corpo a corpo con la materia, prima ancora che restituzione di luce e colore. Infatti, troviamo un lessico della cecità che si accompagna a quello di una sensibilità che è di per sé incarnazione. La passione è “manualità” e “impudico gonfiore dei sensi”. La passione è della carne, nella carne, ma porta con sé un sapere che si fa gesto nell’espressione. Ammesso che quella di espressione sia la categoria centrale del pensiero sull’arte di Pasolini e che egli in tutto il suo lavoro abbia schizzato le linee di un’estetica dell’espressione, allora la SENSIBILITA’ non deve essere vista come una gnoseologia inferior, ma come il cuore pulsante di un sapere vivente, ch ebatte ritmicamente e apre con violenza degli squarci nelle nostre rappresentazioni della realtà. Ecco un paradosso che è tipicamente pasoliniano e che occorre pensare di nuovo: benché abbia teorizzato una nuova mimesis della realtà, Pasolini ci dice contemporaneamente che di questa realtà non può essere fatta alcuna mimesis, essendo essa battito, ferita, lacerazione, passione.

Il paradosso investe lo stile, pertanto, che fa di Pasolini uno dei grandi autori del XX secolo che non si sono limitati a teorizzare un certo pensiero barocco, ma lo hanno praticato. L’espressione nasce qui da una polarizzazione, da DUE TONALITA’ DELL’ESSERE NEL MONDO che sono altrettante aperture al mondo che Pasolini ritrova in PICASSO e che definisce come “pure”. Tuttavia, esse non si danno mai nella loro purezza, ma solo nell’espressione e grazie a essa: gioia da una parte, cioè l’eccesso di vita, un surplus energetico e pulsionale, angoscia dall’altra, cioè l’esperienza più radicale della nostra finitezza di fronte alla morte. Vita-e-morte assieme, tese come una corda sospesa sull’abisso e sulla quale occorre danzare, così come la mano di Picasso danza sulla tela.

L’espressione che sul pelo affiora
del quadro, come da intimità viscerali,
infetta di bruciante disamore,
e ne squassa la squama di tonali,
dolcezze, che, se resiste, e anzi
irrigidisce, è per materiali
inebbrianti cagli. Ma tra i balzi
graffianti del pennello, la zona
di quasi prativa luce, gli sfarzi
dei disaccordi, ecco l’Espressione:
che s’incolla alla cornea e al cuore,
irrichiesta, pura, cieca passione,
cieca manualità, impudico gonfiore
dei sensi, e, dei sensi, tersa noia.
A nient’altro che a questo ateo furore
poteva, nella cadente Francia, Goya
cedere la sua violenza. Qui, a esprimersi,
sono pura angoscia e pura gioia.
Pasolini, Picasso, da Le ceneri di Gramsci

Senza passione non c’è comprensione né intelligenza. L’ESPRESSIONE è la clavicola che permette il movimento tra la chiara intelligenza e l’affetto offuscato. Il movimento stesso è gioia, come Pasolini dice nella settima strofa:
Quanta gioia in questa furia di capire!
In questo esprimersi che rende
alla luce, come materia empirea,
la nostra confusione, che distende
in caste superfici i nostri affetti
offuscati!

Se Picasso ha ben colto, dunque, quella realtà ancora non imprigionata nei codici di un linguaggio che ne fanno cliché, se ha squarciato il velo della rappresentazione dell’ideologia borghese, tuttavia la sua pittura ha un limite che è anche –dice Pasolini- il suo “errore”. Manca infatti ciò per cui c’è realtà caotica e poetica, manca cioè quella figura che dà senso a tutte le altre figure, il popolo:
Assente
è da qui il popolo,
Ed è, l’errore , in questa assenza.

La nona e ultima strofa chiude il poemetto con un montaggio cinematografico serrato, è una sequenza di immagini e al tempo stesso la messa in figura di un anacronismo: sono immagini che provengono dal passato e che, attraversando il presente di Pasolini, giungono fino a noi. I versi di Pasolini restituiscono delle tele di Picasso quasi delle immagini oniriche. Sono immagini livide, cariche di un inquietante pathos che ci richiama a ogni strofa il paradosso della nostra condizione, il nostro tempo scandito da decenni “così vivi da non poter essere vissuti” se non con ansia, dolore, perdita, i nostri anni che sono “doloranti”. Silenzio, fiamme scure, tempesta, paura, sinonimi della nostra modernità che vengono qui cuciti come altrettante cancellature della passione. Così, la passione della chiarezza agli occhi del mondo non può che essere FOLLIA.

Sfortunati decenni… così vivi
da non poter essere vissuti
se non con un’ansia che li privi
di ogni quieta conoscenza, con l’inutile
dolore di assisterne la perdita
nella troppa prossimità… Muti
decenni, di un secolo ancor verde,
e bruciato dalla rabbi adell’azione,
non trascinante ad altro che a disperdere
nel suo fuoco ogni luce di Passione.
Le ultime stanze gremisce la pura
Paura espressa in cristalline zone
d’infantile e senile cinismo: scura
e abbagliata l’Europa vi proietta
i suoi interni paesaggi. E’ matura
qui, se più trasparente vi si specchia,
la luce della tempesta; i carnami
di Buchenwald, la periferia infetta
delle città incendiate, i cupi camions
delle caserme dei fascismi, i bianchi
terrazzi delle coste, nelle mani
di questo zingaro, si fanno infamanti
feste, angelici cori di carogne:
testimonianza che dei doloranti
nostri anni può la vergogna
esprimere il pudore, tramandare
l’angoscia l’allegrezza: che bisogna
essere FOLLI per essere CHIARI.

Nell’eterna metamorfosi dei veggenti, qui non è il clown, il buffone, l’arrabbiato o il funambolo che cammina su una corda tesa a insegnarci il gesto, ma è uno ZINGARO. Uno ZINGARO FOLLE, per giunta, che si colloca pericolosamente a cavalcioni del secolo e, dipingendone le mostruosità, forse promette un altro avvenire.
Che bella notizia, oggi!!!! Il mio ex BLOG non si può recuperare. 
Non esiste un centro di assistenza, un essere umano, qualcuno insomma di Google con cui parlare, per cui posso dire addio al mio BLOG. 


Morto uno se ne fa un altro? Non è così...


Questo è un tempo VUOTO, in cui si galleggia.

giovedì 12 aprile 2012


COSIMO CINIERI
PIER PAOLO POETA DELLE CENERI
25 APRILE ORE 21
AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA DI ROMA, SALA SINOPOLI

da un'idea di GIANNI BORGNA

drammaturgia
IRMA IMMACOLATA PALAZZO e GIANNI BORGNA

regia
IRMA IMMACOLATA PALAZZO

con la partecipazione di
GIANNI DE FEO

GIAN MARIA SPOSITO, costumi