giovedì 10 settembre 2015

LA CARTELLA ROSSA

romanzo di
IRMA IMMACOLATA PALAZZO

Presentazione
Sala "Pietro da Cortona", Musei Capitolini
P,zza Campidoglio, Roma
martedì 6 ottobre 2015 ore 17

Relatori: ANTONIO MARTURANO
               Docente di Antropologia Filosofica (Università di Roma Tor Vergata)
               PLINIO PERILLI
               Poeta e critico letterario

Con la partecipazione di COSIMO CINIERI



PREFAZIONE
E luogo comune che in fondo allanima di un artista c’è un dolore. Se si legge lAutobiografia di Charlie Chaplin si arriva a capire quali profonde lacerazioni turbassero la mente di uno dei più grandi artisti di sempre, e, quindi, si scopre il lato oscuro di Charlot, la sua profonda melanconia e tristezza che fa da contrasto ai suoi cortometraggi comici. Non è da meno il bellissimo racconto di Irma Palazzo, che mi accingo a presentare, intitolato La cartella rossa, che ha come fil rouge il dolore profondo dell'incesto.
In tempi cinici di 50 sfumature di grigio o di 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire, il racconto di Irma Palazzo, ci apre, in modo intelligente, spesso ironico, ma, in fin dei conti, amaro, la sua cartella rossa di memorie.  Una cartella che ci offre uno spaccato di una società particolare, che di questi tempi  - di racconti e film nei quali si esaltano le relazioni transazionali - è poco esplorato: quello del sottoproletariato del sud Italia, della Puglia. Un ambiente che nella sua rudezza ricorda molto le borgate romane analizzate da Pasolini, il quale, era affascinato dal vitalismo dei sottoproletari romani, dalla carica umana che, pur immersi nellabbrutimento, i suburbi conservavano. Pasolini, infatti, non mancò di denunciare lo squallore di quella Roma marginale che aveva scoperto nella lunga frequentazione del popolo di periferia,  lasciandoci così, in Ragazzi di vita, romanzo del 55, e in Una vita violenta, del 59, un fedele ritratto dellepoca. Analogamente, non ci sono, nel racconto di Irma Palazzo, patinate storie di sesso estremo tra manager e giovincelle rampanti pronte a cedere il proprio corpo per una vita facile; ma delle vite, come nei racconti Pasoliniani, semplici e sofferte, ma, contemporaneamente, dignitose nei sentimenti e, paradossalmente, nella propria integrità morale; vite, cioè se vogliamo usare il lessico filosofico di Heidegger genuine, il cui metro non è il successo sociale o il danaro. E, almeno in parte, un ritorno al racconto sociale, a quel racconto che si sviluppa in gran parte dellEuropa nella prima metà dell'Ottocento che tratteggia la vita dei ceti sociali economicamente svantaggiati e denuncia situazioni di sopruso e pregiudizio. E pure un racconto sentimentale alla Laurence Sterne, ove la commozione dellautore si atteggia subito a sorriso, di un ridere quasi disperato e, come abbiamo già detto, sovente malinconico che è spesso strappato al lettore mediante lo stratagemma della parlata dialettale, il giargianese[1] o giaggianese, la lingua degli stranieri dal linguaggio incomprensibile ovvero, nelle intenzioni dell'autrice, di tutti coloro i quali sono stati strappati dall'ambiente a loro familiare: Barivecchia, e quindi privi di radici.
Il racconto, che si svolge negli anni 60 a Bari, e in particolare tra il quartiere oggi chiamato San Paolo (u CEP)e un collegio di Bitonto. Il quartiere San Paolo è uno dei quartieri di più recente costruzione nella città di Bari. Esso, infatti costituisce una grande zona residenziale la cui espansione è da ricondurre all'edilizia popolare degli anni '50 - '70; non a caso il San Paolo è sovente menzionato con l'acronimo "CEP" che sta per "Centro Edilizia Popolare" (anche se alla fine del racconto Irma Palazzo lo ribattezza centroelementipericolosi). La fondazione del quartiere fu decisa il 14 febbraio 1956 a causa della mancanza d'alloggi che potessero far fronte all'elevata crescita demografica; questa esplosione della popolazione rese, quindi, necessaria l'edificazione d'una grossa area destinata all'espansione territoriale della città capoluogo, Bari, come per altre città italiane (come per esempio, più tardi, il quartiere Paolo VI della vicina Taranto). Il quartiere diviene quindi come testimoniato dal racconto - un crogiuolo di etnie, razze e popoli provenienti da gran parte del bacino del Mediterraneo, diventando così un esperimento non inteso, di quello che diventerà lItalia negli anni odierni. Un luogo non-luogo nel quale si è manifestata prima che in altri luoghi lesperienza della liquidità dei legami sociali per usare un termine in voga oggi e coniato da Zygmunt Bauman , ovvero, lesperienza delle relazioni sociali come segnate da caratteristiche e strutture che si vanno decomponendo e ricomponendo rapidamente, in modo vacillante e incerto, fluido e volatile. Infatti, questa liquidità è ciò che la piccola Immacolata, voce narrante del racconto, subisce sulla propria pelle, come anche alcuni degli altri interpreti del racconto: un padre presente solo in modo sporadico in quanto emigrante, con il quale Immacolata è costretta, come abbiamo detto, all'incesto; i rapporti che la bambina intraprende con le sue amiche di collegio; i rapporti con e tra i grandi con la lacerazione della quale si è intrappolati tra la voglia o la necessità di trovare nuove emozioni e il bisogno di un amore autentico. In questo senso il racconto è una iniziazione alla educazione sessuale e sentimentale, che però non mette mai in gioco l'innocenza, o meglio, la integrità della protagonista, al contrario del cinismo e dell'arrivismo sociale che si può leggere in romanzi come 50 sfumature di grigio.
Lincesto è un tema ricorrente nella letteratura di tutti i tempi, basti ricordare nella mitologia lEdipo Re di Sofocle ed Elettra nellOrestea di Eschilo -; nella letteratura più recente il Diario di Anais Nin, Elias Portolu di Grazia Deledda, o Centanni di Solitudine di Gabriel Garcia Marquez, giusto per nominare alcuni tra gli esempi più famosi, e la pletora di analisi psicoanalitiche che hanno alimentato il fascino di questo tabù sin dai primi studi di Freud. Anche il tema dellincesto si inquadra, nel lavoro della Palazzo, in quella dinamica di liquidità sociale, in particolare della liquidità familiare, che fa da sfondo, per esempio, allAgostino di Moravia. Come nel romanzo di Moravia - anche esso storia di una dolorosa iniziazione al sesso da parte di un adolescente -, ciò che rende interessante lincesto ne La Cartella Rossa è il suo inserimento allinterno di un quadro sociale disagiato, quello del CEP: se l' amore proibito, infatti, fosse raccontato soltanto sulla base di un chiuso rapporto di coppia, l'incesto rimarrebbe una questione isolata dal quadro circostante, facendo prevalere magari i suoi connotati esclusivamente psicologici. Ma laddove nellAgostino moraviano, le regole che assicurano la durata dell'istituzione familiare, sia pure degradate, continuano a mantenere una loro funzionale solidità, nel racconto di Irma Palazzo la liquidità, come mi son permesso di suggerire, prende il sopravvento.   
E, quello della Palazzo, un racconto che si può leggere su diversi livelli; il racconto di un esperimento multietnico: Filomena, la bambina colpa della guerra, mulatta, Carolina, la zingara mussulmana, che al contrario di Immacolata (che infatti, afferma: siamo tipi liberi, noi esempio palpabile della liquidità e dello sradicamento sociale), vive in modo tradizionale (ribatte, infatti, Carolina a Immacolata: Mm. Beata. Noi siamo una tribù.). E in questo esempio che si può apprezzare quella cesura tra le culture del sud del Mediterraneo e le culture postindustriali europee, entrambe condannate ad una diversa prigione: una, invisibile, dominata dalla liquidità e da quella perdita tradizionale di senso che crea negli individui quel sentimento di estraneamento; laltra, caratterizzata ancora pesantemente da una figura di controllo dominante (il maschio più adulto Colino o Niksa) che ha il compito di provvedere sicurezza alla tribù”. Questo dualismo meglio rappresenta il dilemma epocale tra libertà e sicurezza. Dice Bauman: "Libertà e sicurezza sono valori entrambi necessari, ma sono in conflitto tra loro. Il prezzo da pagare per una maggiore sicurezza è una minore libertà e il prezzo di una maggiore libertà è una minore sicurezza. La maggior parte delle persone cerca di trovare un equilibrio, quasi sempre invano". Il racconto della Palazzo è come se ci invitasse a riflettere su questo dualismo e questo conflitto tra due weltanschauung che si propone in modo pionieristico a u CEP negli anni 60 e che preconizza i grandi conflitti ideologici di oggi e i piccoli conflitti interculturali quotidiani che viviamo nelle nostre periferie.
Irma Palazzo, quindi, si muove magistralmente a cavallo di due filoni: quello del racconto sociale e quello della educazione sentimentale. Un racconto, però, la cui lettura non si deve limitare alle pruderie sessuali, o alle emozioni - tante e contrastanti che esso ci può dare; La cartella rossa, al contrario, come mi sono sforzato di mostrare, ci invita a riflettere sulle scelte politiche passate che hanno informato la società italiana così come è oggi. Un mondo, quello de u CEP nel quale i legami incominciano a sfilacciarsi anche se non sono ancora usa-e-getta come quelli delle connessioni online sfruttate dal capitalismo che ha capito le potenzialità di Internet come veicolo di socialità. Invero, i legami sociali richiedono impegno; afferma Bauman, "connettere" e "disconnettere" è un gioco da bambini. Farsi degli amici offline è più complicato: lamicizia, come anche lamore, richiede impegno e ascolto; è questa linterpretazione che io propongo della metafora finale della cartella rossa, scarabocchiata, rovinata e infine vuotata ma segnata da solchi profondi; ogni segno, infatti, parla non solo di una singola compagna di collegio: Eva, Assunta, Sabella, ma anche della ferità dellincesto con quel padre che, tradendo una promessa, non ritornerà più. Solchi dellanima e nellanima, quei dolori motori dellanimo dellartista ai quali abbiamo accennato allinizio; gli stessi che infine però fanno dire alla piccola Immacolata, Non fasce nudde. E' bella lo stesso. Proprio cornuta, con le sue cicatrici nere d'inchiostro, un Non fa niente, non importa pieno di ottimismo che riecheggia, e, contemporaneamente ribalta, il pessimismo dell'ormai maturo Eduardo De Filippo in Peppino Girella: Che vuoi fare: è cose nient, dice la moglie. E Peppino Girella risponde in modo amaro: Pure questa è cose nient. È sem­pre cose nient.

Antonio Marturano
Docente di Antropologia Filosofica
(Università di Roma Tor Vergata)


 


[1] Il termine nato sul finire del XIX secolo nel Sud Italia, andò a sparire nel corso del tempo, per poi ricomparire d’improvviso, in forma leggermente modificata, negli anni ’40 del 1900. L’originaria voce ggiaggianése, modellata per corruzione sul termine viggianese (Viggiano, piccolo paesino montano della Lucania in provincia di Potenza), fu usata per indicare variamente taluni caratteristici suonatori ambulanti, oppure dei piccoli commercianti lucani che arrivavano alle latitudini centro-meridionali per acquistare uve o mosto semilavorato; solo una piccola parte di questi piccoli commercianti o suonatori provenivano effettivamente da Viggiano; ma poiché tutti i commercianti che non fossero campani, e soprattutto quelli provenienti dal nord, parlavano un idioma non molto comprensibile (ovvero allo scopo di imbrogliare), si finí per considerarli tutti “viggianesi” e, dunque, giaggianise. La voce, come abbiamo accennato prima, riapparve nell’uso del parlato comune subito dopo la guerra, quando in Campania, Puglia, Abruzzo etc. arrivarono le truppe alleate che parlavano un linguaggio altrettanto incomprensibile di quello tipico dei ggiaggianesi; fu in questo periodo che la voce ggiaggianese subí una sorta di ammodernamento, allorché accostando a ggiaggianese il nome proprio George, comune tra gli alleati, si ottenne giargianese, nelle medesime accezioni della vecchia parola.

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