TEATRO PALLADIUM
27 ottobre 2015 ore 20,30
COSIMO CINIERI
LE ROSE
DEL PARNASO 2 edizione – Festival itinerante
NIETZSCHE, TRA DIONISO E APOLLO
Ditirambi
di Dioniso e altre poesie
LUCIO SAVIANI filosofo-performer
DOMENICO VIRGILI orchestrazione
e pianoforte
GIUSEPPE FRANA strumenti
a plettro orientali
SALUA danza
drammaturgia e regia
IRMA IMMACOLATA PALAZZO
Nietzsche poeta e non filosofo.
“Un pretendente della
verità – tu? Così schernivano./ No, soltanto un poeta!/ Un animale astuto,
rapace, strisciante,/ che deve mentire,/ che sapendo, volendo, deve mentire,/
avido di preda,/ variamente mascherato,/ maschera egli stesso,/ egli stesso
preda/ Questo - un pretendente della verità?... –/ No, soltanto giullare!
Soltanto poeta!”, dove narr ha
parecchi significati oltre che giullare: matto, stolto, stupido, buffone. Già,
istrione, attore – colui che indossa la variopinta maschera, che simula, e che,
in virtù della spersonalizzazione, sa
operare una distruzione attiva del soggetto. Da sempre, come rileva Klossowski,
citando La Gaia scienza, N. è
affascinato dal problema: ‘calarsi in una parte’, in una ‘parvenza’. Il piacere della simulazione nel suo
prorompere come potenza che spinge da parte il cosiddetto “carattere”,
inondandolo, soffocandolo. (…) L’esistenza
cerca una fisionomia per rivelarsi; l’attore è il suo interprete. La scena,
il mondo. K. chiosa: si crede di poter scegliere liberamente di essere quel che
si è, ma, in realtà, si è costretti a recitare una parte, non essendo quello
che si è. Pur non potendo non volersi, non si può volere che un ruolo.
Per tutta la vita, N. pensò attorno al teatro, e con Ecce Homo e l’irrompere di una selvaggia teatralità, si trovò di
fronte all’imperativo di praticarlo (Calasso).
Quindi, commediante. O matto. Un
presagio? I Ditirambi è l’ultimo
testo che Nietzsche diede alle stampe prima di consegnarsi pazzo all’eternità.
Prima di varcare l’ultimo confine sceglie il canto (caro ad Apollo, dio della
divinazione che discende dalla follia); poesia in forma di ditirambo. Il
ditirambo è la forma corale che prelude alla tragedia. Là c’è Dioniso. Il dio
dell’ebbrezza, con cui si condivide l’eterno dir di sì al nonsenso della vita.
Giorgio Colli ci rammenta che un geroglifico arcaico raffigura Apollo con
l’arco e la lira, suoi attributi che ricordano le corna di un capro, animale
sacro a Dioniso.
Poesia e follia appartengono ad
Apollo. Noi, autoinvitati al banchetto celeste, dobbiamo, però, farci trovar
pronti come iniziati, visto che alla sua tavola si mangia Zagreus-Dioniso
smembrato. Nella tragedia, infatti, DIONISO PARLA PER BOCCA DI APOLLO. Il
cerchio si chiude. Non è poco per chi sempre è stato s-centrato come Nietzsche.
Inattuale, come più volte ha rimarcato lui stesso. Fuori del suo tempo.
Forse meraviglia che lui, nei
versi succitati, con raffinata ironia, ci tenga a precisare di non essere un
filosofo, bensì un poeta. Infatti, come dice nella Gaia scienza, i filosofi dovranno parlare in modo nuovo, strappando
gli strumenti di comunicazione alla scienza e all’arte.
N. non seguì studi accademici di
filosofia; studiò per diventare teologo e insegnerà filologia classica fino ai
35 anni quando deciderà di dedicarsi alla filosofia a tempo pieno. Gli studiosi
francesi lo incasellano come pensatore moralista. Ci sono i filosofi:
Descartes, Bergson, Malebranche e ci sono i moralisti: Montaigne, Pascal,
Diderot. E anche in Germania, Goethe è sistemato tra i moralisti. Ma N., a
dispetto di qualsiasi catalogazione, specifica di essere soltanto un poeta,
sebbene Giorgio Colli affermi che “Nietzsche
poeta non è altra cosa da Nietzsche filosofo”. E anche Klossowski parla di
una coesistenza in N. del sapiente e del moralista, dello psicologo e del
visionario.
E come potrei sopportare di essere uomo, se l’uomo non fosse anche
poeta? N. sceglie dunque la poesia che non dice né nasconde, ma
accenna, che balbetta l’indicibile. Ma, alla fine della fiera, la poesia serve
o no alla vita? E’ necessaria, egli ci dice da qualche parte.
Nietzsche, Il grande distruttore, come lo chiamò D’Annunzio, che gli dedicò
per la sua morte un’ode (per la verità neanche tanto straordinaria): oltre il bene, oltre il male,/egli andava
ebro della sua guerra,/splendido della sua virtù,/irto de’ suoi pensieri/.
Ma, più che distruttore, potremmo definirlo smontatore,
un decostruttore, così come acutamente ha messo in evidenza Vattimo. Più che
venire rifiutati, i valori vengono smontati, quasi denudati, messi in luce
nella loro vera natura. N. è colui che ha liquidato una volta per tutte
l’essere e la sua coscienza, la morale, la verità, la dialettica, la storia, la
libertà, Dio e ogni sostegno metafisico. Ma, considerato padre del nichilismo
ermeneutico, la sua è in realtà una filosofia dell’affermazione. Deleuze
sottolinea che se Marx e Freud sono l’”alba” della cultura contemporanea in
quanto pensatori dello smascheramento, N. è un’altra cosa, è l’alba di una
contro-cultura, perché a differenza dei primi due, che hanno ristabilito i
codici (lo stato, l’economia, la famiglia), egli resta un eversivo, un nomade
del pensiero e della vita.
Filologo, pensatore, compositore,
psicologo, moralista, poeta e scienziato. Gaio.
I DITIRAMBI E LE ALTRE POESIE
Nella sterminata bibliografia
nitzscheana, la poesia è stata abbastanza trascurata. Eppure la sua vocazione
la si ritrova nelle composizioni poetiche della Gaia scienza, in Umano troppo
umano e soprattutto in Così parlò
Zarathustra, dove il linguaggio immaginifico rende impossibile distinguere
le giunture tra prosa e verso (A.M.Carpi).
Per N. stesso, i Ditirambi di Dioniso è il primo libro
della Trasvalutazione di tutti i valori. Egli
si dice l’inventore del ditirambo, il nuovo linguaggio dello spirito quando
parla da solo con se stesso. Vi emergono i grandi temi della sua meditazione
ultima, carichi di una sorta di ‘vena agostiniana’. Secondo Giametta, i Ditirambi sono una delle tante
manifestazioni della personalità poliedrica di Nietzsche.
Versi singolari per l’arditezza
linguistica, è sempre la Carpi a sottolinearlo, graficamente visualizzata, per
esempio dalle lineette che scardinano il contesto sintattico, come se in questa
volontà di dare ogni cosa per possibile, ci sia un bisogno tutto moderno di
superare ogni limite e di trovare un modo nuovo per dirle. E allora il gioco
delle allitterazioni, uno dei mezzi retorici da lui prediletti, che concepisce
e suggerisce sensi diversi. Certo è che N. si gioca anche nella versificazione
una variegata tavolozza umorale: dal meschino Principe Ucceldibosco, tremante di febbre nel suo lettuccio durante
la nera notte di pioggia, al beffardo Uccello
picchio col suo meccanico tictac, la cui imitazione è il rimare dei
versi. Lapalissiana in queste
figure l’aspirazione comunque a librarsi, all’andar leggeri.
Paesaggi e tempo cronologico
appartengono all’ordine del simbolico: tramonti, sole allo zenit, nottate:
opportuni all’intuizione, suggestioni, dove, però, non aleggia alcun mistero se
non in forma di enigma e solo si pretende la parità col dio.
Nel penultimo ditirambo, Gloria ed eternità, N. ci propina una
sfida spaventosa: “Chi lo legga senza
esserci preparato, muore”. Continuamente egli tenta di innalzarci alle sue
vette, là dove dimora l‘aquila dallo sguardo acuto e dal rostro tagliente. Fino
alle stelle, là dove si vedono ruotare ‘mari di luce’.
LO SPETTACOLO
Cosimo Cinieri in NIETZSCHE, TRA DIONISO E APOLLO, con Lucio Saviani, filosofo-performer, Domenico
Virgili, orchestrazione e pianoforte,
Giuseppe Frana, strumenti a plettro orientali, Salua, danza. Drammaturgia e regia di Irma
Immacolata Palazzo.
La performance tra poesia-filosofia e teatro inizia e finisce con una
risata.
“E perduto sia per noi il giorno in cui non si sia danzato neanche una
volta! E si dica falsa ogni verità per la quale non ci sia stata una risata!” Il saggio
ride. “Non è con l’ira ma è con il riso
che si uccide. Uccidiamo dunque lo spirito della gravità”.
Risata e danza, strumenti
d’elevazione, quasi un distico sacro per N., figure della leggerezza e
insegnamento capitale nello Zarathustra. Solo il saggio, l’uomo leggero,
l’oltreuomo sa ridere della tragicità dell’esistenza, pur vivendola fino in
fondo, l’unico che sa accettare l’estrema visione dell’eterno ritorno e che
danza al tramonto tra il cielo e l’abisso. Altero e mai mendicante audience. Profeta della solitudine. Principe ucceldibosco. Siamo nella sfera
dell’Artistik, come lui la chiamava,
più vicina alla vita dell’acrobata, del funambolo, il primo doppio di
Zarathustra che a sua volta era doppio di Nietzsche. Una vertigine. Noi artisti siamo incorreggibili.
Ci sono pagine di N. che sono
pura energia, che invitano al ballo frenetico di una pizzica (danza dionisiaca
per eccellenza, comune a tutte le culture del Mediterraneo nelle sue
innumerevoli varianti). Pagine febbricitanti. Visionarie. Una scrittura
contagiosa, perché chi parla è posseduto e ti possiede.
Il palcoscenico è una scacchiera
in cui gli elementi sono proiezioni l’uno dell’altro (specchi); ensemble che obbedisce comunque alla
legge dell’”arte monologica”. Ogni entità è un commediante che gioca da solo:
il giullare-voce recitante i Ditirambi,
il filosofo, sulla cui scrivania s’intravedono i tre fatidici dadi, che
racconta di labirinti e naufragi,il pianoforte per creare atmosfere apollinee,
il musicista con strumenti a plettro (cuore appassionato), la
danzatrice-Arianna, padrona eppur perduta (come N. la immagina) nel proprio
labirinto. Insondabile femminilità, ‘squassata da febbri ignote’ per il suo
‘Dio carnefice’, Dioniso, dalle piccole orecchie che sa odiare e amare a un
tempo. Il cerchio è chiuso.
Nietzsche, tra Dioniso e Apollo, inserito nel Festival
itinerante LE ROSE DEL PARNASO 2 ed.,
è prodotto dall’Associazione Culturale VAGABONDA
BLU e sostenuto dalla Regione Lazio
e Fondazione Roma Arte-Musei.
Foto di
scena: Daniele
Lanci; Uff.Stampa: Elisabetta Castiglioni Cell:
328.4112014 elisabetta@elisabettacastiglioni.com , Promozione e segreteria organizzativa: InventaEventi Tel: 06.98188901 progetti@inventaeventi.com , Promozione Scuole: Alt Academy Tel: 339.5932844 altacademy@libero.it
Biglietti: 15 euro Riduzioni: 10 euro Studenti: 5
euro.
Lucio Saviani
LABIRINTI E NAUFRAGI. LO STILE IN NIETZSCHE
Su
Nietzsche e i Ditirambi di Dioniso
Per
Irma e Cosimo
“La parola ‘smarrirsi troppo in alto’
deriva dal linguaggio degli alpinisti e designa la situazione in cui scalando
le alte rocce si arriva a un punto dove non si può andare avanti né indietro, e
l’alpinista è perduto. Uso questa parola per l’uomo che non solo è il più
grande filosofo della fine del secolo XIX ma anche uno dei più intrepidi eroi
che siano mai apparsi nel regno dello spirito”. E’ una pagina di un saggio di
Thomas Mann, pubblicato a Stoccolma nel 1948.
A Nietzsche è forse più cara l’immagine del naufragio. Nell’ultimo
paragrafo de La gaia scienza Nietzsche scrive così: “E
ora, dopo essere stati in cammino così a lungo, noi Argonauti dell’ideale, più
coraggiosi, forse, di quanto non lo esigesse la prudenza, dopo che molto spesso
incorremmo in naufragi e sciagure - ora è come se a ricompensa di tutto ciò ci
apparisse dinanzi agli occhi una terra ancora ignota, di cui nessuno ancora ha
misurato con lo sguardo i confini, un al di là di tutti i paesi e i cantucci
dell’ideale esistenti fino a oggi, un mondo così sovranamente ricco di cose
belle, ignote, problematiche, terribili e divine …”.
Nell’avventura della conoscenza, che
negli appunti per Aurora Nietzsche
accosta all’avventura della navigazione, più di ogni altra cosa è possibile il “naufragio
nell’infinito”. La citazione leopardiana ritorna più esplicita in un frammento
dell’autunno 1880: “Infinito! Bello è ‘naufragare in questo mare’”.
Scrittore asistematico e geniale poligrafo, nella complicata “stratificazione
di superfici” e di trame del suo testo Nietzsche ordisce, taglia, incide e
annoda insieme, in modo inestricabile, generi e stili diversi: i saggi e
trattati degli scritti giovanili, l’aforisma, la poesia in prosa, l’annuncio
profetico, l’autobiografia, l’invettiva e poi simboli, allegorie, parabole. Il kikeyon, la bevanda degli iniziati ai
riti eleusini, “si disgrega, se non è agitato”, ammonisce Eraclito l’oscuro.
Così va “agitato” il testo nietzscheano: il suo labirinto è, insieme, filo e
vertigine, funambolo e abisso, aracne (Arianna) e tela, passo e danza, Apollo e
Dioniso.
Il problema dello stile, come annota
Derrida leggendo Nietzsche, è sempre la valutazione di un oggetto acuminato. Di una piuma, di una
penna, ma anche di uno stiletto, o magari di un pugnale. Rostro, sprone, punta
tagliente, graffiante: graphos, che segna, incide e mantiene aperto uno scarto.
Lo
stile è il modo individuale in cui un autore esprime la propria visione del
mondo, ciò che esiste in modo
assolutamente singolare, non riconducibile ad alcuna regola. Invece Il
particolare, specificazione di un universale, si rapporta all’universale come
un caso alla regola; un caso non può mai cambiare una regola, mentre fra
universale e individuale si spalanca un abisso: lo scarto stilistico.
All’abisso
che si spalanca sotto i piedi dello scalatore, o che si nasconde nelle acque
agitate del naufragio appartiene la poesia di Nietzsche.
Come per il kikeyon di Eleusi, la poesia di Nietzsche va
assunta in costante associazione al pensiero speculativo,
e questo, a sua volta, assume grazie alla parola poetica il suo scarto: il senso e la causa, l’origine.
E i suoi effetti. Dai primi grandi ditirambi dello Zarathustra, fino alle liriche
che Nietzsche raccoglie sotto il titolo Ditirambi di Dioniso ricopiandole con cura nei primi giorni del 1889: sulla
soglia del lungo silenzio, che cala come un’ultima maschera sul volto. A
proposito di Gloria ed eternità, che precede di poco la follia,
Nietzsche scrive: «Chi lo legga senza esserci preparato, muore»; tremenda
profezia, come in Tra figlie del deserto: «Il deserto cresce: guai a chi
rinchiude deserti!»
I Ditirambi di
Dioniso sono il naufragio finale, in cui l’ “argonauta dell’ ideale”, più
wagneriano di sempre, dice addio alla ragione e, con essa, alla filosofia.
Niente di più lontano dall’armonia
classica. Come nel kikeyon, maestosa bellezza della tempesta e, insieme, ultimi
spaventosi spasmi del naufrago. Nel primo ditirambo, ogni strofa è chiusa da ‘‘nur
Narr, nur Dichter’’, ‘‘soltanto pazzo, soltanto poeta’’.
Nietzsche
ha chiamato la pratica filosofica a un’azione decisiva: non accettare più i
concetti già dati, ma crearne di nuovi, “porli e poi convincere gli uomini
della loro verità”. Del resto, secondo Nietzsche, “sono indicibilmente più
importanti i nomi dati alle cose di quel che esse sono (…) basta creare nuovi
nomi e valutazioni e verosimiglianze per creare, col tempo, nuove cose”.
Ma
tutto questo, per Nietzsche, è “quello di cui i filosofi si accorgono solo alla
fine (…) Fare della propria vita stessa un esperimento - solo questa è libertà
dello spirito, ciò mi divenne più tardi filosofia” (Frammenti postumi
1888-89).
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